di Lucia Izzo - L'avvocato, titolare di uno studio legale, non può pretendere il pagamento di onorari relativi a pratiche svolte da un praticante presso il suo studio e rese a un proprio parente. Non si è in presenza di un contratto di prestazione professionale per facta concludentia, in quanto il cliente aveva incaricato appositamente ed esclusivamente il nipote.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, seconda sezione civile, nella sentenza n. 21543/2016 (qui sotto allegata). La vicenda origina da un'opposizione a decreto ingiuntivo con il quale a un cliente era stato ingiunto di pagare all'avvocato una somma quale corrispettivo di prestazioni professionali.
A base dell'opposizione, il cliente aveva dedotto l'inesistenza del rapporto professionale, avendo egli incaricato non l'avvocato, ma il proprio nipote, che all'epoca esercitava la pratica forense presso quello studio. Da canto suo, il professionista si difendeva deducendo che il contratto di prestazione professionale con l'opponente si era concluso per facta concludentia.
Il Tribunale, quale giudice d'appello, osservava che assente un mandato scritto, non erano emersi altri elementi idonei a confermare il conferimento anche solo verbale dell'incarico all'avvocato, essendo per contro incontestabile che il cliente avesse avuto un rapporto diretto solo col proprio nipote, abilitato allo svolgimento della richiesta attività stragiudiziale.
Da qui il ricorso per Cassazione del professionista che, tuttavia, non trova accoglimento.
Non coglie nel segno la doglianza riguardante l'esistenza del mandato alle liti desunta dalla consegna dei documenti, direttamente o per il tramite del proprio nipote, al ricorrente sino al momento in cui il "cliente" ha esplicitamente revocato i mandati conferiti allo studio.
Il fatto da provare, sostiene il professionista, "era costituito dalla circostanza che, come era avvenuto in diverse occasioni, quando consegnava i documenti al proprio nipote per la trattazione dei sinistri in via stragiudiziale, il Sig. ... era consapevole delle gestione dei sinistri e di tutte le pratiche affidate al ricorrente".
In realtà, secondo gli Ermellini, il ricorrente non arriva mai a spiegare in virtù di quale specifico addentellato di fatto, non considerato dal Tribunale, e in forza di quale ragione logico-giuridica la circostanza che il cliente avesse consegnato dei documenti al proprio al nipote, praticante legale, varrebbe a dimostrare la volontà di lui di incaricare dei relativi affari stragiudiziali anche o unicamente l'avvocato solo perché titolare dello studio professionale.
Unico fatto controverso e decisivo, concludono i giudici, era costituito dal conferimento o meno dell'incarico professionale. E il giudice d'appello ha motivato in maniera sufficiente lì dove ha escluso che ve ne fosse prova, tanto scritta quanto indiziaria e per fatti concludenti.
Cass., II sez. civ., sent. 21543/2016• Foto: 123rf.com