di Marina Crisafi - Lasciare un succhiotto sul collo, quale marchio tangibile del possesso, può integrare il reato di violenza sessuale. Lo ha stabilito oggi la Cassazione, con la sentenza n. 47265/2016 (qui sotto allegata), respingendo il ricorso di un uomo avverso la decisione d'appello che lo aveva condannato a 6 anni e 2 mesi di carcere per il reato ex art. 609-bis c.p. e lesioni personali aggravate ai danni della sua amante. Tra le altre cose (palpeggianti sul seno e sulla zona pubica, rapporto sessuale) ad essere contestato all'uomo, era l'aver lasciato un "succhiotto" alla donna con l'intenzione precisa di "marchiarla" in modo visibile "a chiunque fosse interessato ad una relazione con lei".
A nulla vale la tesi difensiva dell'imputato che precisava che il "morso d'amore" non aveva riguardato zone erogene e dunque non poteva essere interpretato come atto di natura sessuale.
Per la terza sezione penale di piazza Cavour, infatti, l'atto "deve poter essere definito sessuale sul piano obiettivo, senza attingere alle intenzioni dell'agente". La natura sessuale dell'atto preesiste alla volontà dell'agente "appartiene all'elaborazione scientifica ma è anche espressione della cultura di una determinata comunità in un determinato". Ed è sufficiente che l'imputato sia consapevole di tale natura con una condotta cosciente e volontaria. Inoltre, va escluso che l'atto sessuale venga circoscritto ai soli "toccamenti delle zone (immediatamente) erogene del corpo, con esclusione di tutte le altre".
Nel caso di specie, è evidente che il succhiotto sul collo della donna ha natura sessuale, in quanto si tratta di un atto, comunemente definito "morso d'amore (per la carica di passionalità e ardore che lo caratterizza) - che - consiste in un livido causato dalla suzione con le labbra di una parte dell'epidermide o da un bacio molto aggressivo" e che non si sostanzia in un mero "toccamento" delle labbra ma necessita di un'attività "prolungata" sul corpo che, per la sua durata e intensità, esprime senz'altro "quella carica erotica che il concedersi con piacere alla bocca altrui comporta". Carica che l'imputato ha pienamente colto, hanno concluso gli Ermellini, visto che ne ha fatto strumento di "una riaffermata (e malintesa) signoria sulla donna con un simbolo (il livido lasciato sul collo) che vuol significare un'intimità sessuale esattamente percepibile e percepita come tale dai consociati senza necessità di ulteriori specificazioni". Da qui il rigetto del ricorso e la conferma della condanna.
Cassazione, sentenza n. 47265/2016
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