di Marina Crisafi - Attenzione a dichiararsi "separati" su Facebook mentre si è ancora ufficialmente sposati, potrebbe costare molto caro. Lo sa bene una donna condannata a risarcire 5mila euro di danni non patrimoniali al marito per aver reso pubblica la propria relazione extraconiugale ed essersi attribuita sul profilo Facebook lo status di "separata", quando ancora non era stato avviato il giudizio di separazione, offendendo, inoltre, il coniuge, chiamandolo a più riprese, "il verme". Così ha deciso il tribunale di Torre Annunziata (giudice Francesco Coppola), con la recente sentenza n. 2643/2016 depositata il 24 ottobre scorso (qui sotto allegata).
Pur rigettando entrambe le domande di addebito della separazione, per il giudice partenopeo, non c'è dubbio sulla responsabilità per danni non patrimoniali a carico della donna.
Perché possa sussistere una responsabilità risarcitoria, una volta accertata la violazione del dovere di fedeltà, si legge infatti in sentenza "al di fuori dell'ipotesi di reato dovrà accertarsi anche la lesione, in conseguenza di detta violazione, di un diritto costituzionalmente protetto. Sarà inoltre necessaria la prova del nesso di causalità fra detta violazione ed il danno, che per essere a detto fine rilevante non può consistere nella sola sofferenza psichica causata dall'infedeltà e dalla percezione dell'offesa che ne deriva - obbiettivamente insita nella violazione dell'obbligo di fedeltà - di per sè non risarcibile costituendo pregiudizio derivante da violazione di legge ordinaria, ma deve concretizzarsi nella compromissione di un interesse costituzionalmente protetto". Tale evenienza, come affermato dalla Cassazione (cfr. sent. n. 18853/2011), "può verificarsi in casi e contesti del tutto particolari, ove si dimostri che l'infedeltà, per le sue modalità e in relazione alla specificità della fattispecie, abbia dato luogo a lesione della salute del coniuge - trasmodando - in comportamenti che, oltrepassando i limiti dell'offesa di per sè insita nella violazione dell'obbligo in questione, si siano concretizzati in atti specificamente lesivi della dignità della persona, costituente bene costituzionalmente protetto".
E nella vicenda è incontestato che la moglie: si era mostrata in pubblico in compagnia del suo amante, "che presentava come suo fidanzato"; aveva affermato a terzi di essere divorziata e "sul proprio profilo Facebook si attribuiva lo stato di 'separata'" prima dell'instaurazione del procedimento di separazione; senza contare che nel riferirsi al marito di fronte agli altri, lo chiamava "il verme" affermando che avesse anche "tendenze omosessuali".
Un comportamento che, a detta del tribunale, ha fuor di dubbio "gravemente offeso la dignità e la reputazione" dell'uomo e che va oltre la "mera violazione del dovere di fedeltà tutelato e sanzionato dall'addebito".
La connotazione "pubblica della relazione adulterina, la dichiarazione pubblica dell'esistenza di un rapporto di fidanzamento tra la ricorrente ed altro uomo e la gravità delle offese rivoltegli, sono sufficienti per ritenere lesa la dignità e la reputazione" dell'uomo. Da qui la condanna della donna al risarcimento dei danni non patrimoniali arrecati al marito, liquidati in via equitativa in 5mila euro oltre interessi legali sino al soddisfo.
Trib. Torre Annunziata, sentenza n. 2643/2016
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