di Valeria Zeppilli - Ai detenuti in celle collettive deve essere garantito uno spazio minimo individuale vitale, spazio che la Cassazione ha recentemente provveduto a definire in maniera dettagliata.
In particolare, nella sentenza numero 52819/2016 del 13 dicembre (qui sotto allegata) la Corte ha chiarito che per individuare lo spazio che il singolo detenuto può fruire e che è idoneo al movimento è necessario detrarre dalla superficie complessiva sia lo spazio destinato ai servizi igienici, sia quello occupato dagli arredi fissi. Ma non solo: va detratto anche lo spazio occupato dal letto.
Nel caso di specie, invece, il Tribunale di Sorveglianza aveva ritenuto che tale elemento andasse computato nel calcolo dello spazio minimo individuale destinato al detenuto, considerando che le ore trascorse all'interno della cella sono perlopiù destinate ad attività sedentarie e che il letto assume rilevanza centrale quale superficie di appoggio.
La Corte, nell'emendare tale provvedimento, ha evidenziato che il letto (che per comune esperienza nelle camere detentive è a castello) deve essere considerato "come un
Peraltro anche la Grande Camera della Cedu, pur non esprimendo una specifica posizione sul tema del letto, ha affermato in alcune occasioni che lo spazio minimo in cella è quello in cui il soggetto detenuto ha la possibilità di muoversi. Da tale conclusione, per la Cassazione non può che desumersi che dal computo di tale spazio vadano escluse le superfici occupate da strutture tendenzialmente fisse mentre non rilevano solo gli arredi che possono essere rimossi con facilità.
Il provvedimento impugnato dal detenuto va quindi annullato con rinvio al fine di procedere a una nuova fissazione dello spazio minimo individuale. Se esso risulterà inferiore ai tre metri quadri, bisognerà procedere a un esame globale e analitico dei parametri compensativi per il detenuto.
Corte di cassazione testo sentenza numero 52819/2016• Foto: 123rf.com