Con la sentenza numero 54946/2016 (qui sotto allegata) la Corte di cassazione ha infatti chiarito quali sono le condizioni che fanno sì che anche tale soggetto risponda del comportamento di un suo utente per concorso in diffamazione.
Tra di esse c'è la mancata rimozione del contenuto consapevolmente diffamatorio, con evidente consenso allo sviluppo della sua efficacia offensiva.
Nel caso si specie, sul sito gestito dall'imputato era stato pubblicato il certificato penale di un noto soggetto, affiancato dalle affermazioni "emerito farabutto" e "pregiudicato doc".
La colpa del gestore, secondo i giudici, risiedeva nell'aver tollerato la presenza di offese sul suo sito dal momento in cui le stesse vi erano state pubblicate sino al momento in era stato eseguito il sequestro preventivo del sito.
Per il ricorrente, insomma, non c'è nulla da fare: la condanna penale inflittagli in secondo grado per concorso nel reato di diffamazione resta, così come quella a risarcire 60mila euro alla parte civile.
Ma non solo. Egli dovrà anche farsi carico delle spese processuali e di quelle di parte civile.
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