La Cassazione ribadisce come l'art. 380-bis garantisca il contraddittorio, il diritto di difesa e pubblicità dell'udienza

di Lucia Izzo - Sono garantiti il diritto di difesa e di pubblicità dell'udienza in caso venga accolta la richiesta, proposta dal giudice relatore in Cassazione, di procedere in Camera di Consiglio. Lo ha precisato la Corte di Cassazione, sez. VI civile, nell'ordinanza n. 395/2017 (qui sotto allegata).


Alla competente Corte territoriale aveva proposto ricorso l'attore, impugnando la decisione del Tribunale che aveva respinto la domanda avanzata dallo stesso contro una Fondazione Ospedaliera per il risarcimento dei danni patiti a seguito di intervento chirurgico. Anche in tale sede il gravame veniva respinto.


In Cassazione, la decisione viene sottoposta alla Camera di Consiglio, a seguito di proposta del relatore ex art. 380-bis c.p.c. comunicata alla parte ricorrente, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in prossimità della quale il ricorrente deposita memoria.


In tale memoria l'uomo ha eccepito il contrasto del vigente art. 380-bis c.p.c. (introdotto dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197, di conversione del d.l. 31 agosto 2016, n. 168) con l'art. 24 Cost., per esser stata prevista, in primis, "la Camera di Consiglio e non la pubblica udienza", con esclusione del difensore per una illustrazione e delle tematiche di fatto e di diritto proposte con il ricorso, nonché la semplice proposta, di accoglimento o meno, del proposto ricorso e da parte del Signor Consigliere Relatore.


Tale disciplina, ad avviso dell'uomo, sarebbe limitativa del diritto di difesa esercitabile solo in pubblica udienza, con illustrazione e replica, anche orale, alle osservazioni della on.le Procura o a quelle di parti resistenti o addirittura, su invito della stessa Corte, là dove, inoltre, sussisterebbe una "difficoltà tecnica" a poter replicare alla "proposta" del relatore, "particolarmente quando interviene in termini semplici e non adeguatamente motivati".


Per gli Ermellini, tale censura appare manifestamente infondata: va rammentato, sottolineano i giudici, che l'intervento novellatore del giudizio di legittimità ai sensi della legge n. 197/2016 è ispirato, secondo una linea di tendenza registratasi nell'ultimo decennio, da pressanti esigenze di semplificazione, snellimento e deflazione del contenzioso dinanzi alla Corte di cassazione, in attuazione del principio costituzionale, di cui all'art. 111 Cost. e art. 6 CEDU, della ragionevole durata del processo e di quello dell'effettività della tutela giurisdizionale.


In tale prospettiva, spiegano i giudici, il legislatore, ha inteso modulare il giudizio di legittimità in ragione di una più generale suddivisione del contenzioso in base alla valenza nomofilattica, o meno, delle cause, riservando a quelle prive di siffatto connotato (ossia, il contenzioso più nutrito) un procedimento camerale, tendenzialmente assunto come procedimento ordinario, "non partecipato" e da definirsi tramite ordinanza, anziché celebrare l'udienza pubblica e decidere con sentenza, come avviene per le cause "dalla particolare rilevanza della questione di diritto".


Ancora, quanto al principio di pubblicità dell'udienza, di rilevanza costituzionale seppur non esplicitato dalla

Carta Fondamentale, questo non riveste carattere assoluto e può essere derogato in presenza di "particolari ragioni giustificative", ove "obiettive e razionali" (Corte cost., sent. n. 80 del 2011).


Una tale deroga, anche alla luce dei principi espressi dalla giurisprudenza della Corte EDU richiamati in pronuncia, è consentita in ragione della conformazione complessiva del procedimento, in quanto la pubblicità del giudizio è stata assicurata in prima o seconda istanza e una tale esigenza non si manifesta comunque più necessaria per la struttura e funzione dell'ulteriore istanza, il cui rito è volto, eminentemente, a risolvere questioni di diritto o comunque non "di fatto", tramite una trattazione rapida dell'affare, non rivestente peculiare complessità.


In tal senso, conferma il Collegio, viene a declinarsi la disciplina dell'art. 380-bis c.p.c., funzionale alla decisione, in sede di legittimità, di ricorsi che si presentino, all'evidenza ("a un sommario esame": art. 376

c.p.c.), inammissibili, manifestamente infondati o manifestamente fondati (art. 375 c.p.c.), ossia di impugnazioni per le quali non si pongono questioni giuridiche di rilevanza nomofilattica (cui soltanto è riservata la pubblica udienza e la decisione con sentenza dall'art. 375 c.p.c.).


La garanzia del contraddittorio, là dove la decisione sia resa con ordinanza all'esito di adunanza camerale non partecipata, è comunque assicurata dalla trattazione scritta della causa, con facoltà delle parti di presentare memorie per illustrare ulteriormente le rispettive ragioni, non solo in funzione delle difese svolte dalla controparte, ma anche in rapporto alla proposta del relatore circa la sussistenza di ipotesi di trattazione camerale.


Ciò rappresenta l'esito di un bilanciamento, non irragionevolmente effettuato dal legislatore, tra le esigenze del diritto di difesa e quelle, del pari costituzionalmente rilevanti, in precedenza evidenziate, di speditezza e concentrazione, in funzione della ragionevole durata del processo e della tutela effettiva da assicurare, anche in tale prospettiva, alle parti interessate dal contenzioso.

Cassazione, sentenza n. 395/2017

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