di Marina Crisafi - A più di un anno dalla sua istituzione, parte il fondo per il coniuge in stato di bisogno che prevede un contributo da parte dello Stato a compensazione del mancato pagamento dell'assegno di mantenimento disposto dall'autorità giudiziaria in sede di separazione. La misura, istituita con la penultima legge di stabilità (l. n. 208/2015), è diventata infatti operativa a seguito dell'emanazione del necessario decreto attuativo del ministero della giustizia, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 14 gennaio scorso (qui sotto allegato).
Nel provvedimento di Via Arenula vengono individuati i tribunali, situati nei capoluoghi dei distretti sede di corte d'appello, presso i quali avviare la sperimentazione del "Fondo di solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno", le modalità della presentazione dell'istanza da parte degli interessati, nonché le modalità per la corresponsione delle somme e per la riassegnazione di quelle recuperate.
Il fondo, per ora, è alimentato con una dotazione di 750mila euro (di cui 250mila per l'anno 2016 e 500mila per il 2017).
I beneficiari
Ad essere interessato dalla misura è "il coniuge separato in stato di bisogno che non è in grado di provvedere al mantenimento proprio e dei figli minori, oltre che dei figli maggiorenni portatori di handicap grave, conviventi, qualora non abbia ricevuto l'assegno determinato ai sensi dell'articolo 156 del Codice civile per inadempienza del coniuge che vi era tenuto".
La domanda
L'interessato, come sopra definito, può rivolgere istanza da depositare nella cancelleria del tribunale del luogo ove ha la residenza, per l'anticipazione di una somma non superiore all'importo dell'assegno medesimo.
L'istanza dovrà essere redatta in conformità al modulo (form) disponibile a partire dal trentesimo giorno successivo alla pubblicazione del decreto in Gazzetta (ossia dal 14 febbraio), direttamente sul sito del ministero della giustizia nell'apposita sezione denominata "Fondo di solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno".
La domanda dovrà contenere a pena di inammissibilità, oltre alle generalità, dati anagrafici e codice fiscale del richiedente:
- l'indicazione degli estremi del conto corrente bancario o postale e la misura dell'inadempimento del coniuge tenuto a versare il mantenimento (specificando che lo stesso è maturato in epoca successiva all'entrata in vigore della legge di stabilità);
- l'indicazione se il coniuge inadempiente percepisca redditi da lavoro dipendente e, nel caso affermativo, l'indicazione che il datore dei lavoro si è reso inadempiente all'obbligo di versamento diretto a favore del richiedente (ex art. 156, 6° comma, c.c.);
- l'indicazione che il valore dell'indicatore ISEE (o dell'ISEE corrente in corso di validità) è inferiore o uguale a 3mila euro;
- l'indirizzo di posta elettronica ordinaria o certificata dove l'interessato intende ricevere le comunicazioni;
- la dichiarazione di versare in condizione di occupazione o di disoccupazione (ex art. 19 d.lgs. n. 150/2015) e, in tale ultimo caso, di non aver rifiutato offerte di lavoro negli ultimi due anni.
All'istanza vanno allegati a pena di inammissibilità: un documento valido di identità del richiedente; la copia autentica del verbale di pignoramento mobiliare negativo ovvero della dichiarazione negativa del terzo pignorato relativamente alle procedure esecutive promosse nei confronti dell'ex inadempiente; la visura (rilasciata dalla conservatoria dei registri immobiliari delle province di nascita e residenza del coniuge inadempiente) da cui risulti l'impossidenza di beni immobili; l'originale (o la copia con formula esecutiva) del titolo sul quale è fondato il diritto al mantenimento.
La procedura
Il presidente del tribunale (o un giudice da lui delegato) valuta, nei 30 giorni successivi alla presentazione della domanda, l'ammissibilità della stessa e, in caso di giudizio negativo la rigetta con decreto non impugnabile. Nel caso di esito positivo (anche assumendo ove occorra informazioni ulteriori), invece, la trasmette al ministero della Giustizia ai fini del pagamento.
A questo punto, il ministero della giustizia (entro trenta giorni dalla distribuzione delle risorse) si rivale sul coniuge inadempiente per il recupero delle somme erogate e, in caso di resistenza (entro 10 giorni dall'intimazione), potrà proporre, in presenza di fondati indici di solvibilità patrimoniale, azione esecutiva.
Nel decreto si sottolinea come la ripartizione delle somme debba avvenire in base a criteri di proporzionalità ed essere imputata a ciascun trimestre. Le somme non utilizzate nel corso di un trimestre andranno ad incrementare le disponibilità di quello successivo.
In ogni caso, all'avente diritto non può corrispondersi, si specifica, una somma eccedente la misura massima mensile dell'assegno sociale.
La procedura, viene infine sottolineato, è esente dal pagamento del contributo unificato.
La revoca
Ex art. 6 del decreto, viene stabilito che l'istanza del richiedente può essere revocata nel caso venga accertata l'insussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi richiesta, ovvero nel caso in cui la documentazione presentata "contenga elementi non veritieri o sia incompleta rispetto a quella richiesta". Facendo salve le conseguenze di legge (civile, penale e amministrativa), infine, si provvederà in ogni caso al recupero delle somme indebitamente erogate.
Decreto Ministero Giustizia 15.12.2016• Foto: 123rf.com