di Lucia Izzo - Rischia una condanna per abbandono di animali chi li detiene con modalità tali da arrecare agli stessi gravi sofferenze, incompatibili con la loro natura, anche se si tratta di soli patimenti psicologici.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, terza sezione penale, nella sentenza n. 10009/2017 (qui sotto allegata) confermando la condanna ex art. 727 c.p. a carico di una donna per aver mantenuto, all'interno di un locale chiuso concesso in comodato d'uso, 25 gatti selvatici e un cavallo, in condizioni ambientali incompatibili con la natura degli stessi animali
In particolare, a causa delle pessime condizioni igieniche del locale, gli animali avevano patito rilevanti sofferenze fisio-psichiche. I gatti, ad esempio, erano apparsi fobici rispetto alle visite degli ispettori dall'Asl e comunque molto stressati.
Inutile per la donna cercare di destituire di fondamento l'apparato accusatorio affermando che gli animali non fossero soggetti a malattie fisiche. La Cassazione rammenta che l'art. 727 c.p., rubricato "abbandono di animali", punisce, al comma 2, la condotta di colui il quale "detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze".
Secondo la giurisprudenza, il reato in questione è integrato dalla condotta, anche occasionale e non riferibile al proprietario, di detenzione degli animali con modalità tali da arrecare agli stessi gravi sofferenze, incompatibili con la loro natura, avuto riguardo, per le specie più note (quali, ad esempio, gli animali domestici), al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali.
Dunque, ai fini dell'integrazione del reato in esame non è necessario che l'animale riporti una lesione all'integrità fisica, potendo la sofferenza consistere anche soltanto in meri patimenti, la cui inflizione sia non necessaria in rapporto alle esigenze della custodia e dell'allevamento dello stesso.
Inconferenti appaiono le doglianze attoree secondo cui l'accoglienza dei felini all'interno del locale avrebbe rappresentato una misura dettata a salvaguardia degli stessi. La condanna, infatti è scattata per non aver assicurato agli animali i necessari interventi di pulizia, diretti a impedire che dalla fermentazione delle deiezioni e, comunque, dalle emissioni organiche, potessero derivare, come invece accertato, affezioni delle vie respiratorie o irritazioni alle mucose.
Neppure poteva affermarsi che le condizioni igieniche riscontrate nel locale sarebbero state simili a quelle in cui sarebbero soliti vivere i gatti randagi nonché alle condizioni che, ordinariamente, si rinverrebbero nelle stalle. Il personale della A.S.L., infatti, aveva sottolineato come le condizioni igieniche fossero assolutamente compromesse e come, da tale situazione, fossero conseguite le già richiamate affezioni respiratorie nonchè la condizione di fortissimo disagio degli animali, estremamente reattivi e fobici.
Per i giudici la sottolineata condizione di stress e promiscuità degli animali doveva ritenersi sufficiente a integrare la fattispecie contestata, indipendentemente dalla eventuale presenza di altre malattie come la richiamata A.I.D.S. felina. Oltre che per i gatti, infatti, quanto affermato vale anche per il cavallo, che la difesa ha ritenuto non essere stato abbandonato: all'animale, tuttavia, affetto da grave zoppia non era stato somministrato il necessario antidolorifico, determinando a carico dell'equino una pacifica condizione di forte sofferenza fisica, suscettibile di integrare la contravvenzione contestata.
Cass., III sez. pen., sent. n. 10009/2017• Foto: 123rf.com