di Valeria Zeppilli - Lo stalking, per poter essere considerato un comportamento penalmente rilevante, deve cagionare nella vittima conseguenze psicologiche riconducibili ad uno stato d'ansia, al timore per la propria incolumità o a quella di persone a sé vicine e all'alterazione delle proprie abitudini di vita.
Come chiarito dalla Corte di cassazione nella sentenza numero 14462/2017 del 24 marzo (qui sotto allegata), il reato di atti persecutori ha infatti natura plurioffensiva ed è composto da reiterate condotte minacciose e moleste idonee a ledere la capacità della vittima di autodeterminarsi in ragione della causazione di uno dei predetti stati sintomatici. Di conseguenza, se ad esempio le condotte compiute dallo stalker non hanno raggiunto il grado di intensità nella reiterazione richiesto dalla norma, così come se non hanno determinato nella vittima l'evento passivo tipico del reato di atti persecutori, quest'ultimo non può dirsi integrato.
Per i giudici, tuttavia, l'impossibilità di ricondurre un comportamento nell'alveo dell'articolo 612-bis c.p. non vuol dire che lo stesso non possa essere sussunto nel paradigma normativo di altri reati, come quello di minaccia, quello di molestia o disturbo alle persone o comunque qualsiasi altro meno grave dello stalking.
Nel caso di specie, il giudice del merito aveva correttamente escluso che a carico dell'imputato potesse essere riconosciuta un'ipotesi di atti persecutori, in quanto la vittima dei suoi comportamenti (ovverosia l'ex convivente) non aveva manifestato i segni sintomatici che, come visto, si configurano come conseguenza diretta della rilevanza penale di un dato comportamento persecutorio. Altrettanto correttamente, però, aveva anche riscontrato che le condotte addebitate erano comunque penalmente rilevanti, potendo le stesse essere ricondotte ai reati di ingiuria e danneggiamento.
Poiché, tuttavia, l'ingiuria non è più prevista come reato, limitatamente a tale condotta la sentenza impugnata è stata annullata senza rinvio. Il danneggiamento invece resta: avendo avuto ad oggetto cose esposte alla pubblica fede non si rientra nell'area di operatività della recente depenalizzazione.
Corte di cassazione testo sentenza numero 14462/2017• Foto: 123rf.com