di Valeria Zeppilli - L'avvocato non può inserire sul proprio sito web i nomi dei clienti che assiste, neanche se questi ultimi hanno prestato apposito consenso a tale forma di pubblicità. Con la sentenza numero 9861 del 19 aprile 2017 (qui sotto allegata), le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno infatti affermato che la stretta connessione sussistente tra l'attività professionale degli avvocati e l'esercizio della giurisdizione impone una certa cautela di azione che non salva i legali che pongono in essere la predetta pratica dalla sanzione dell'avvertimento.
La valenza pubblicistica della professione forense e i limiti alla pubblicità
Quella forense, infatti, è un'attività con forte valenza pubblicistica, in cui il rapporto tra professionisti e clienti non può essere ridotto solo a una logica di mercato. Anzi: la pubblicità sui nominativi dei clienti rischia di avere pesanti ripercussioni anche sull'attività processuale eventualmente svolta per questi e, in alcuni casi, addirittura di interferire su di essa.
L'esempio fatto dalla Corte per rendere più chiaro tale concetto è quello dei processi per partecipazione ad associazioni di tipo mafioso: è evidente ai più che, mentre tali processi sono in corso, i clienti potrebbero autorizzare il legale a diffondere il loro nominativo solo per lanciare messaggi ai loro eventuali complici con i quali suggerire la linea difensiva da seguire o il legale da nominare e non certo per fare pubblicità al proprio avvocato.
Ed è proprio per tutte tali ragioni che per le Sezioni Unite della Corte di cassazione il ricorso di un gruppo di avvocati sanzionati con l'avvertimento per aver diffuso sul web i nomi dei propri principali clienti non può che essere respinto.
Corte di cassazione testo sentenza numero 9861/2017• Foto: 123rf.com