di Valeria Zeppilli - Se il nascituro è privo di una mano, la sua malformazione non è tale da rischiare seriamente di compromettere la salute fisica e psichica della madre e, quindi, da legittimare l'interruzione di gravidanza anche una volta decorso il termine di 90 giorni previsto dalla legge per poter ricorrere all'aborto.
Sulla base di tale argomentazione, infatti, la Corte di cassazione, con la sentenza numero 9251/2017 qui sotto allegata, ha respinto il ricorso di una coppia di genitori che pretendevano di essere risarciti dai medici curanti e dal centro diagnostico al quale si erano rivolti dei danni subiti a seguito della mancata rilevazione, in sede di ecografia morfologica, del fatto che il figlio era privo di un arto.
Responsabilità medica e malformazioni del feto
Per i giudici, infatti, ai fini dell'interruzione volontaria della gravidanza le anomalie del feto o le sue malformazioni rilevano solo quando sono idonee a cagionare un danno alla salute della gestante e non in sé e per sé considerate con riferimento al nascituro.
Né è servito ai genitori sottolineare che il giudice del merito non aveva a loro dire considerato che, se fossero stati tempestivamente e correttamente informati della condizione del nascituro, sarebbero arrivati al parto preparati: per la Corte, infatti, bisogna considerare che tale evenienza era stata in realtà presa in considerazione già dal giudice di prime cure che, tuttavia, era arrivato ad escludere che la sofferenza fisica e psichica manifestata dai genitori potesse essere evitata o lenita se si fossero trovati nella condizione di conoscere con tempestività la presenza della malformazione.
L'aborto eugenetico
In conclusione, quindi, poiché l'ordinamento non ammette il cd. "aborto eugenetico", ovverosia quello che prescinde da un serio o grave pericolo per la vita o la salute della madre, nel caso di specie nessun risarcimento può essere accordato ai ricorrenti.
Anche con riferimento al danno fatto valere dallo stesso nato disabile, la Corte ha escluso che possa ritenersi configurabile una qualche forma di responsabilità medica, in quanto non è possibile stabilire un nesso causale tra la condotta colposa del sanitario e le sofferenze psicofisiche che il figlio è destinato a subire nel corso della sua vita. Peraltro la risarcibilità di tale danno va incontro anche all'obiezione della incomparabilità della sofferenza con l'unica alternativa ipotizzabile, rappresentata dall'interruzione della gravidanza. Infine, non può non considerarsi che il danno subito dal disabile, nel caso di specie, era stato prospettato dai genitori come conseguenza di quello dagli stessi asseritamente subito e che, pertanto, non sussistendo quest'ultimo non può sussistere neanche il primo.
Corte di cassazione testo sentenza numero 9251/2017• Foto: 123rf.com