di Lucia Izzo - I figli dell'ultraottantenne sottoposto ad amministrazione di sostegno non sono legittimati a impugnare il matrimonio tra questi e la sua badante di 40 anni più giovane, a meno che non vi sia stato un apposito provvedimento del giudice tutelare che abbia vietato le nozze e se l'invalidazione risponde agli interessi dell'amministrato.
Lo ha stabilito la Corte di cassazione, prima sezione civile, nella sentenza n. 11536/2017 (qui sotto allegata) disattendendo la pronuncia della Corte d'Appello che aveva dichiarato la nullità del matrimonio tra un uomo e la sua badante.
Il caso
L'annullamento era stato richiesto per incapacità di intendere e di volere dai figli dell'uomo, ultraottantenne, invalido di guerra e invalido civile al 100%, con necessita di assistenza globale permanente e già affetto da ictus cerebrale e assistito da un amministratore di sostegno. I figli, riferendo di aver appreso soltanto nel 2007 del matrimonio tra il loro padre e l'allora badante, di quasi quarant'anni più giovane, avevano verificato la dilapidazione del suo patrimonio mediante donazioni dissimulate in forma di compravendite.
La Cassazione, tuttavia, boccia la ricostruzione della Corte d'Appello che aveva ritenuto i figli legittimati a impugnare il matrimonio applicando analogicamente a essi l'art. 119 c.c., istituto relativo al caso di interdizione per per infermità di mente.
Gli Ermellini evidenziano che l'amministrazione di sostegno ha la finalità di offrire, a chi si trovi nell'impossibilita di provvedere ai propri interessi, anche parziale o temporanea, uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire distinguendosi con tale specifica funzione dagli altri istituti a tutela degli incapaci, ovverosia interdizione e inabilitazione.
Tale istituto è volto a valorizzare, non tanto l'esigenza di salvaguardia del patrimonio, per lo più nell'interesse della cerchia familiare, bensì le residue capacità del soggetto debole. Quindi, rispetto agli altri istituti, diretti all'incapacitazione, mentre l'altro al sostegno, ossia alla protezione di quei barlumi di capacità, quali che siano, non compromessi, non sussiste analogia poichè si collocano su piani totalmente diversi.
Da qui l'impossibilità di estensione analogica all'amministrato delle limitazioni previste per l'interdetto come confermato dalla lettera dell'art. 411 c.c. consente al giudice tutelare di disporre l'estensione eventuale di alcuni effetti, limitazioni o decadenze previste per l'interdetto e inabilitato anche all'amministrazione di sostegno se sussiste un interesse individualizzato dell'amministrato e non dei terzi.
Nozze non impugnabili dai terzi ex art. 119 c.c.
Tuttavia, a differenza di quanto affermato da parte della dottrina, secondo cui all'amministrazione di sostegno non potrebbe estendersi il divieto di contrarre matrimonio stabilito per l'interdetto per infermità di mente, sicchè questi evidenzia che in ogni caso il diritto a contrarre matrimonio (in quanto atto personalissimo) la Cassazione afferma che nel best interest dell'amministrato il giudice tutelare, in casi particolarmente stringenti, potrebbe anche disporre il divieto della nozze.
Anche laddove sussistesse un simile provvedimento che vieta il matrimonio, prosegue la sentenza, dovrebbe comunque escludersi che le nozze possano essere impugnate ai sensi dall'art. 119 c.c. previsto in caso di interdizione.
Se il divieto di contrarre matrimonio può essere imposto al beneficiario di amministrazione di sostegno solo nel suo proprio interesse, è del tutto ovvio che il matrimonio contratto in violazione del divieto non possa essere poi invalidato se non in funzione della soddisfazione del suo stesso interesse e non di quello all'astratta osservanza del provvedimento giudiziale di divieto, ovvero, tantomeno, dell'interesse di terzi.
Dunque, nel caso di specie, è a maggior ragione da escludere che i terzi possano impugnare il matrimonio ai sensi dell'articolo 119 c.c., nei confronti del destinatario dell'amministrazione di sostegno, in assenza, come in questo caso, di un divieto di matrimonio adottato dal giudice tutelare.
Il che tuttavia, sottolinea il Collegio, non vuol dire che l'eventuale divieto di contrarre matrimonio previsto dal giudice tutelare possa essere impunemente violato dal beneficiario dell'amministrazione di sostegno, soccorrendo in tal caso, oltre all'impugnazione ex art. 120 c.c., l'azione di annullamento a opera dell'amministratore di sostegno, prevista dall'articolo 412, secondo comma, c.c..
La Corte d'Appello ha dunque errato nel ritenere i figli dell'uomo legittimati ai sensi dell'art. 119 del codice civile.
Cass., I sez. civ., sent. n. 11536/2017• Foto: 123rf.com