di Valeria Zeppilli - Accedere agli archivi privati di un PC è un'ingerenza arbitraria, sproporzionata e non necessaria nella privacy altrui, anche se negli stessi è presente materiale pedopornografico.
Lo ha detto la Cedu nella sentenza del 30 maggio qui sotto allegata e resa nel caso Trabajo Rueda c. Spagna.
La vicenda
Nel caso di specie, il ricorrente aveva subito una condanna per pedopornografia a seguito della denuncia fatta dal tecnico informatico di fiducia che, dopo aver eseguito l'accesso nel suo PC, aveva rinvenuto materiale compromettente e appreso che lo stesso era oggetto di scambio su internet. Così, aveva deciso di rivolgersi alla polizia.
Lesione della privacy
Per la Cedu, però, il procedimento che aveva poi portato alla condanna del ricorrente si era svolto, in questa prima fase, in violazione dell'articolo 8 della convenzione.
Gli Stati, infatti, a detta della Corte devono evitare che vi siano abusi o ingerenze arbitrarie nell'altrui sfera personale, ad esempio consentendo l'accesso a documenti riservati solo se vi è un preventivo ordine giudiziario o in caso di urgenza.
Invece, nel caso di specie, per verificare la veridicità delle accuse la polizia aveva esaminato tutte le cartelle del PC, immediatamente e senza alcun provvedimento dell'autorità giudiziaria. Peraltro, posto che il tecnico del computer aveva provveduto alla denuncia senza dichiararlo al suo cliente, non sussisteva neanche il rischio serio e concreto che l'uomo provvedesse nel frattempo a cancellare i file.
Il dissenso del giudice Dedov
Viene comunque riportata l'opinione dissenziente del giudice Dedov, per il quale in realtà non si verterebbe in materia di ingerenza nella privacy altrui: a suo dire, nel caso di specie, si trattava correttamente di evitare, mediante un'azione rapida ed efficace, il perpetrarsi di un crimine e di tutelare l'interesse pubblico.