di Valeria Zeppilli - Quando si valuta la responsabilità penale di un medico che ha agito in equipe, non è possibile prescindere dalla adeguata considerazione delle mansioni che egli abbia svolto in concreto, nella prospettiva di verificare i limiti dell'operato degli altri sanitari oltre che del suo.
I principi
Più in particolare, come precisato dalla Corte di cassazione nella sentenza numero 27314/2017 del 31 maggio (qui sotto allegata), in tema di responsabilità medica di carattere penale è fondamentale che il giudice accerti se (e a quali condizioni(ciascun componente dell'equipe debba farsi carico delle manchevolezze degli altri o se invece egli possa fare affidamento sulla corretta esecuzione dei compiti altrui.
A tal fine, occorre tenere conto di due importanti principi, che vanno necessariamente coniugati tra di loro.
Innanzitutto del principio in forza del quale ogni sanitario è sempre tenuto a conoscere l'attività svolta dai colleghi anche se di diversa specializzazione, controllarne la correttezza ed, eventualmente, rimediare agli errori evidenti e non settoriali. In secondo luogo del principio di affidamento che libera il sanitario dal dover orientare il proprio comportamento sempre in funzione del rischio di condotte colpose altrui, permettendogli di confidare sul fatto che gli altri agiscano osservando le proprie regole di diligenza.
Controllo totale solo quando l'attività è corale
In forza di tali principi, ogni medico dell'equipe deve esercitare il controllo totale solo in quelle fasi dell'intervento in cui l'attività è corale, mentre nelle fasi in cui i ruoli e i compiti all'interno dell'equipe sono ben distinti la responsabilità per l'errore o l'omissione è del singolo operatore che li abbia commessi.
La vicenda
Nel caso di specie, il medico era stato imputato per il decesso di un paziente a seguito di inidonea satura dell'aorta lesionata durante un intervento di colecistectomia per via laparoscopica. Tuttavia, anche in considerazione di quanto detto sopra, le modalità di effettuazione della saturazione non gli potevano essere addebitate in quanto rientravano nelle competenze proprie dell'operatore che vi aveva provveduto: per la Cassazione, non è possibile infatti riconoscere un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari, né tantomeno un obbligo di invadere le competenze altrui. Il sanitario, per tale ragione, va assolto per non aver commesso il fatto.
Corte di cassazione testo sentenza numero 27314/2017