di Marina Crisafi - Il crocifisso potrà essere affisso negli edifici pubblici. Si tratta di una espressione di identità culturale e religiosa. Così ha stabilito il Tar della Sardegna - Cagliari, con la recente sentenza n. 383/2017 (qui sotto allegata), respingendo il ricorso presentato dall'Uaar, l'Unione Atei ed Agnostici Razionalisti, chiudendo così a favore del comune il "primo round" di una vicenda iniziata nel 2009.
La vicenda
L'ordinanza del comune di Mandas era stata emessa il 23 novembre 2009 e sanciva l'immediata affissione del crocifisso in tutti gli edifici pubblici presenti nel territorio. Il provvedimento del sindaco prevedeva altresì la sanzione amministrativa di 500 euro a carico dei trasgressori, incaricando la polizia locale di vigilare sulla esatta osservanza dell'ordine impartito. Il provvedimento in seguito al ricorso veniva revocato, ma l'Uaar decideva comunque di proseguire la causa insistendo "per la pronuncia sulla fondatezza delle proprie pretese".
La decisione del Tar: il crocifisso è espressione d'identità culturale e religiosa
Il Tar, dopo aver preso atto della sopravvenuta carenza di interesse, ha dichiarato il ricorso in parte improcedibile, in parte infondato.
Invero, hanno spiegato i giudici amministrativi, "la Grande Camera della Corte europea per i diritti dell'uomo, con sentenza del 18 marzo 2011, ric.30814/06, ha assolto l'Italia dall'accusa di violazione dei diritti umani per l'esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche, affermando che la cultura dei diritti dell'uomo non deve essere posta in contraddizione con i fondamenti religiosi della civiltà europea, a cui il cristianesimo ha dato un contributo essenziale. La Corte ha evidenziato inoltre che, secondo il principio di sussidiarietà, è doveroso garantire ad ogni Paese un margine di apprezzamento quanto al valore dei simboli religiosi nella propria storia culturale e identità nazionale e quanto al luogo della loro esposizione; in caso contrario, in nome della libertà religiosa si tenderebbe paradossalmente invece a limitare o persino a negare questa libertà, finendo per escluderne dallo spazio pubblico ogni espressione".
Il crocifisso, in particolare, "non viene considerato dai giudici di Strasburgo un elemento di indottrinamento, ma espressione dell'identità culturale e religiosa dei Paesi di tradizione cristiana".
Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso è stato in parte respinto ed in parte dichiarato improcedibile e le spese compensate tra le parti.
La reazione degli atei e agnostici: arriveremo fino alla Cedu
Una sentenza "decisamente brutta". È questa la reazione degli atei e agnostici alla decisione del Tar. In una nota, a firma della responsabile iniziative legali, Adele Orioli, l'Unione annuncia che valuterà il ricorso.
"Il sindaco aveva già ritirato il provvedimento ma noi siamo voluti andare avanti per affermare un principio: quello della laicità delle istituzioni - spiega la Orioli. E prosegue: "non escludiamo di fare appello al Consiglio di Stato e perché no fino alla stessa Corte Edu a Strasburgo circa la fondatezza o meno dell'interpretazione estensiva attuata dal Tar".
La giustizia amministrativa "ci aveva già abituato - rincara la responsabile Uaar - a definizioni singolari, per usare un gentile eufemismo, come quella del crocifisso simbolo di laicità" ma appellarsi "alla libertà di religione per affermare la legittimità della presenza obbligatoria di un peculiare simbolo religioso nei pubblici uffici di uno Stato che dovrebbe essere laico, almeno sulla carta - suona - veramente strano".
Il "Tribunale vede un potenziale conflitto tra la 'cultura dei diritti dell'uomo' e i 'fondamenti religiosi della civiltà europea' e ritiene di poterlo risolvere con l'imposizione di una sola confessione a tutti. Per tutti quelli che non sono d'accordo - conclude - l'Uaar non si fermerà qui".
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Tar Sardegna, sentenza n. 383/2017
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