Per la Cassazione integra violenza privata il comportamento di chi esercita pressione sull'altrui volontà anche con mezzi anomali

di Lucia Izzo - Affinché venga integrato il delitto di violenza privata non è richiesta una minaccia verbale o esplicita, essendo sufficiente un qualsiasi comportamento o atteggiamento, sia verso il soggetto passivo, sia verso altri, idoneo ad incutere timore e a suscitare la preoccupazione di subire un danno ingiusto, onde ottenere che, mediante tale intimidazione, il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare od omettere qualcosa.

Lo ha precisato la Corte di Cassazione, sezione V penale, nella sentenza n. 29261/2017 (qui sotto allegata) con cui ha annullato la sentenza che aveva assolto un uomo imputato del reato di cui all'art. 610 del codice penale.


L'uomo aveva con violenza afferrato di spalle la sua ex convivente, le aveva sottratto il telefono, e l'aveva costretta a salire a bordo della sua autovettura che poi aveva lanciato a forte velocità, al fine di indurre la donna confessare una presunta relazione con un nuovo compagno.


Il giudice di primo grado confermava la sussistenza dell'addebito ritenendo attendibile la deposizione della persona offesa, mentre la Corte d'Appello, in riforma della decisione di primo grado, assolveva l'imputato affermando che dalla semplice descrizione dei fatti fornita dalla "vittima" emergesse l'insussistenza del fatto, per la mancanza di alcuna costrizione ai suoi danni.


In sostanza, secondo la ricostruzione della Corte territoriale, la donna dopo aver incontrato l'ex convivente, gli aveva parlato per circa 30 minuti, allontanandosi poi con la promessa che sarebbe tornata, lasciando il suo cellulare a garanzia dell'impegno. Trascorse due ore, la donna era tornata ed era salita senza costrizione sull'auto recandosi in una località isolata. Poi alla richiesta di essere riaccompagnata a casa l'imputato guidò a velocità elevata, ciononostante la donna riusciva a scendere dall'auto chiedendo in un bar l'intervento della polizia.

Violenza privata: sufficiente qualsiasi comportamento che incuta timore e preoccupazione

Per la Cassazione, tuttavia, merita accoglimento il ricorso della parte offesa, in particolare laddove rammenta che l'elemento della violenza nella fattispecie criminosa ex art. 610 c.p. si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l'offeso della libertà di determinazione e di azione, potendo consistere anche in una violenza "impropria", che si attua attraverso l'uso di mezzi anomali diretti a esercitare pressioni sulla volontà altrui, impedendone la libera determinazione.


Si tratta, secondo gli Ermellini, di un principio consolidato della giurisprudenza disatteso dalla Corte distrettuale che,ai fini del delitto di violenza privata, ritiene non necessaria la sussistenza di una minaccia verbale o esplicita, bastando un qualsiasi comportamento o atteggiamento idoneo a incutere timore nel soggetto passivo o in altri, suscitando preoccupazione di subire un danno ingiusto. Inoltre, ottenendo che mediante tale intimidazione il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare od omettere qualcosa.


Altre pronunce di legittimità hanno, tra l'altro, anche approfondito il concetto di "violenza impropria" che si attua attraverso l'uso di mezzi anomali diretti a esercitare pressioni sulla volontà altrui, impedendone la libera determinazione.


La Corte d'Appello, nel valutare il caso di specie, ha obliterato alcuni aspetti che la sentenza di primo grado aveva puntualmente descritto, ovverosia il fatto che la donna non volesse salire nell'auto dell'ex, che l'aveva spinta forzandola in tal senso, addirittura piegandole il bracco, e che la donna fosse stata in qualche modo coartata nel tornare alla vettura dopo che l'imputato le sottrasse il telefono.


La sentenza impugnata va dunque annullata e sarà il giudice del rinvio a occuparsi di dirimere la vicenda sulla base dei principi enucleati dalla Cassazione.

Cass., V sez. pen., sent. n. 29261/2017

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