di Lucia Izzo - Meglio prestare attenzione alle dichiarazioni telefoniche e al rischio di eccedere con le parole sconfinando nella rabbia incontrollata: il tenore delle espressioni verbali in relazione al contesto nel quale si collocano possono far rischiare una condanna penale.
La vicenda
È quanto accaduto a un uomo, incriminato per minaccia nei confronti della ex in quanto nella conversazione telefonica ha paventato anche il rapimento della figlia minore oltre ad aver minacciato la donna di morte.
Lo ha deciso la Corte di Cassazione, sez. V Penale, nella sentenza n. 32368/2017 (qui sotto allegata) rigettando il ricorso dell'uomo condannato in sede di merito per il reato di cui all'art. 612, comma 2, del codice penale, per aver minacciato di morte al telefono la sua ex.
Inutile per l'imputato lamentare che non sussista l'aggravante della gravità prevista dal secondo comma della norma, in quanto le espressioni minacciose erano state pronunciate per telefono, a grande distanza, ed erano legate al fatto che la donna non gli permetteva di parlare al telefono con la figlia minore.
Rabbia al telefono contro l'ex? Scatta il reato di minaccia
La Cassazione precisa che la gravità della minaccia va accertata avendo riguardo, in particolare, al tenore delle eventuali espressioni verbali ed al contesto nel quale esse si collocano, onde verificare se e in quale grado la condotta minatoria abbia ingenerato timore o turbamento nella persona offesa, in tal senso rilevando l'entità del turbamento psichico che l'atto intimidatorio può determinare sul soggetto passivo.
Ciò significa che non è necessario che la minaccia di morte sia circostanziata, potendo benissimo, ancorché pronunciata in modo generico, produrre un grave turbamento psichico, avuto riguardo alle personalità dei soggetti (attivo e passivo) del reato.
Nel caso di specie è corretta l'imputazione di minaccia aggravata poichè l'imputato, oltre ad aver minacciato la ex di morte aveva anche minacciato di sequestrare la figlia minore ("rubo la bambina"), affermazioni la cui serietà non appariva ridimensionata dal mezzo adoperato (il telefono) o dalla distanza, avendo l'autore espressamente considerato anche le conseguenze per lui pregiudizievoli di una condotta criminosa ("non ho paura di carabinieri e del carcere").
Inutile per l'imputato anche affermare che il giudice di merito abbia errato nel porre a fondamento della decisione le sole dichiarazioni della persona offesa. In tema di valutazione della prova testimoniale, l'attendibilità della persona offesa dal reato è una questione di fatto, che ha la sua chiave di lettura nell'insieme di una motivazione logica, che non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni.
Non solo nel caso di specie queste contraddizioni non sono rinvenibili né tantomeno dedotte, ma l'attendibilità della persona offesa è stata fondata su una valutazione di coerenza intrinseca e di credibilità soggettiva, e sul rilievo dell'assenza di un interesse processuale, in ragione della mancata costituzione di parte civile.
Cass., V sez. pen., sent. 32368/2017