di Lucia Izzo - L'avocato deve adempiere con diligenza l'incarico professionale conferitogli dal cliente, obbligo in cui rientra anche il dovere di sollecitazione, dissuasione e informazione del cliente: a questi il legale dovrà rappresentare tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, che possono impedire il raggiungimento del risultato, o comunque produrre effetti dannosi e sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dal probabile esiti sfavorevole.
Lo ha precisato la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, nell'ordinanza n. 21173/2017 (qui sotto allegata) che ha rigettato il ricorso di un professionista confermando l'esito del giudizio di merito: l'avvocato, infatti, non aveva in tale sede assolto l'onere probatorio necessario a dimostrare la sua diligenza professionale.
Viene revocato il decreto ingiuntivo che l'avvocato aveva ottenuto per il pagamento di alcune prestazioni professionali giudiziarie svolte in favore del cliente: appaiono fondate, infatti, le eccezioni sollevate dal cliente/debitore in sede di opposizione, riguardanti la sussistenza della responsabilità professionale del legale che non lo aveva informato con diligenza circa la presenza di una causa di decadenza dall'azione che egli voleva promuovere per recuperare alcuni crediti di lavoro, decadenza poi effettivamente dichiarata dal giudice adito.
Per la Corte territoriale, nel giudizio di responsabilità l'onere probatorio circa la condotta diligente doveva essere assolto dal professionista, cosa che non era avvenuta nel caso in esame poiché il legale non aveva avanzato alcuna istanza istruttoria per dimostrare la corretta informazione data al cliente circa i rischi evidenti di reiezione delle sue domande.
In Cassazione, il legale sostiene che la sua condotta negligente, invece, sarebbe dovuta essere dimostrata dal debitore opponente/appellante, una doglianza che per i giudici di legittimità appare infondata.
L'avvocato deve provare di aver dissuaso il cliente dal giudizio con probabile esito sfavorevole
Il Collegio richiama il principio secondo cui, "nell'adempimento dell'incarico professionale conferitogli, l'obbligo di diligenza da osservare ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1176, secondo comma, e 2236 cod. civ. impone all'avvocato di assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione e informazione del cliente".
In sostanza, l'avvocato è tenuto a rappresentare a quest'ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; a sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole.
A tal fine, conclude la Corte, incombe sul professionista l'onere di fornire la prova della condotta mantenuta e al riguardo appare insufficiente il rilascio, da parte del cliente, delle procure necessarie all'esercizio dello "jus postulandi", in quanto circostanza inidonea a deporre univocamente e obiettivamente per la compiuta informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l'assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull'opportunità o meno d'iniziare un processo o intervenire in giudizio.
Poichè, nel caso in esame, la sentenza impugnata ha correttamente e puntualmente motivato circa il mancato assolvimento dell'onere probatorio da parte dell'avvocato, il ricorso va rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione.
Cass., VI civ., ord. n. 21173/2017• Foto: 123rf.com