Il licenziamento del dipendente che inoltra e-mail offensive ai dirigenti della propria azienda è legittimo. Lo ha deciso la Corte di Cassazione con sentenza 7 settembre 2012, n. 14995, rigettando il ricorso di un lavoratore che era stato demansionato e si era sentito emarginato nel contesto lavorativo in cui operava, cosa che aveva provocato la sua reazione, manifestatasi attraverso l'invio di una missiva per posta elettronica il cui contenuto era stato indicato come motivo del suo licenziamento. Nei precedenti giudizi non emergeva, dalla complessiva istruttoria, un intento persecutorio della società ma il demansionamento appariva ascrivibile ad una condotta dell'azienda che, seppur censurabile, era dovuta più ad una difettosa organizzazione aziendale che ad un intento persecutorio nei confronti del lavoratore. Quindi si escludeva la sussistenza del "mobbing" e di conseguenza si dichiarava il comportamento del lavoratore inescusabile. Inoltre le espressioni contenute nella "e-mail" del ricorrente, indirizzate ai propri diretti superiori (amministratore delegato, direttore del personale e superiore gerarchico), avevano contenuto diffamatorio ed offensivo, integrando con ciò la giusta causa di licenziamento. La Corte d'Appello aveva evidenziato il contenuto offensivo del messaggio e la sua diffusione tra più persone che non erano solo i diretti destinatari, fatto che aveva giustificato la sanzione espulsiva come proporzionata alla gravità delle espressioni usate che travalicavano certamente il diritto di cronaca e che erano teoricamente riconducibili a fattispecie penali, quali l'ingiuria e la diffamazione. Per questa ragioni la Cassazione rigetta il ricorso del lavoratore.
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