L'assegno di mantenimento a favore del figlio, corrisposto dall'ex coniuge non convivente della coppia separata o divorziata, affonda la propria ragion d'essere nella tutela che l'ordinamento riserva all'interesse primario della prole. Oltre che per il figlio minorenne esso è dovuto anche per il maggiorenne che non abbia terminato gli studi e che, in ogni caso, non abbia ancora raggiunto la piena indipendenza economica. L'obbligo viene a mancare soltanto nel momento in cui tale condizione venga soddisfatta.
La revoca dell'obbligo a carico dell'ex coniuge alla corresponsione dell'assegno è valida soltanto a determinate condizioni. Occorre che il giudice, su domanda dell'interessato, verifichi che in effetti sia stata raggiunta l'indipendenza economica da parte del figlio o che comunque lo stesso, allo stato attuale, potrebbe senza dubbio raggiungerla.
Sul punto la Cassazione interviene affermando, nella sentenza in oggetto, che il rifiuto immotivato del figlio maggiorenne a prestare un'attività lavorativa, anche se non rispondente alle sue aspirazioni, costituisce valido motivo di revoca dell'assegno. Esso infatti, raggiunta la maggiore età dell'interessato, continua ad essere erogato dal genitore soltanto in quei casi in cui il mancato impiego del figlio dipenda da causa a lui non imputabile e non, come in questo caso, da inerzia o rifiuto ingiustificato.
Tale situazione non opera tuttavia ipso iure ma occorre che sia provata in corso di regolare procedimento o, ancora, che l'estinzione dell'obbligo di versamento periodico dell'assegno derivi da accordo espresso tra il figlio e gli ex coniugi.Vai al testo della sentenza 7970/2013