di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione sesta, sentenza n. 8228 del 4 Aprile 2013.
Il trattamento di fine rapporto (TFR) è una somma dovuta dal datore al lavoratore subordinato, calcolata proporzionalmente al periodo di impiego. Essa ha natura retributiva (calcolata cioè sulla base degli stipendi percepiti) e consiste in un accantonamento periodico effettuato dal datore di lavoro e dovuto al dipendente in caso di cessazione, a qualsiasi titolo, del rapporto di lavoro subordinato. In alcuni casi, espressamente previsti per legge (art. 2120 codice civile) il lavoratore può chiedere un anticipo del TFR
La previdenza complementare invece è un istituto con caratteristiche completamente diverse. Diverse aziende istituiscono esse stesse fondi pensione o si affidano a gestori di fondi pensione integrativa al fine di garantire un sussidio ulteriore al lavoratore che raggiunge i requisiti pensionistici. Essa ha natura contributivo - previdenziale (calcolata cioè sui contributi effettivamente versati) e non retributiva e, proprio per questo motivo, non concorre alla formazione del TFR
. La Cassazione interviene appunto per negare l'imputazione dei versamenti effettuati dal datore di lavoro a favore del dipendente a titolo di accantonamento a fondo di previdenza integrativa. Tale materia, oltre che dal codice civile, è regolata in parte dai contratti collettivi nazionali, i quali stabiliscono determinate percentuali di versamento a carico del lavoratore e dell'azienda. In conclusione, le caratteristiche intrinseche dell'atto - versamento da parte del datore di lavoro di quota a titolo di contributo previdenziale integrativo - escludono decisamente che gli importi incrementati possano andare ad aumentare la somma accantonata come TFR. Vai al testo della sentenza 8228/2013