Un privato, danneggiato da una grata posta su strada pubblica, ha richiesto il risarcimento dei danni all'ente competente sulla base della responsabilità aquiliana ex art. 2043 cod. civ., omettendo di attivare, al contrario, lo strumento processuale diretto offerto dall'art. 2051 cod. civ., responsabilità da cose in custodia, con relativa inversione dell'onere della prova a carico della pubblica amministrazione. Il ricorso a tale strumento giuridico si giustifica nei casi in cui la formazione di insidia stradale, non visibile e non opportunamente segnalata dall'ente gestore del tratto stradale, sia stata causata da una cattiva manutenzione della cosa in custodia.
Il giudice di merito ha rigettato la pretesa risarcitoria del privato spiegando che il difetto stradale (nella specie, una grata posizionata sulla pubblica via) sarebbe stato tuttavia visibile se solo il soggetto avesse prestato adeguata attenzione, diligenza misurata sulla base del criterio astratto quanto fumoso e non meglio motivato della "comune esperienza". Il ricorrente impugna la sentenza adducendo appunto difetto di motivazione della decisione di secondo grado: egli non avrebbe altresì tenuto adeguatamente conto delle prove contrarie prodotte a propria difesa.
Il ricorso viene tuttavia rigettato: la Suprema Corte ricorda come, azionando l'art. 2043 cod. civ., sia onere dell'attore provare i fatti alla base della propria pretesa risarcitoria. Nel caso di specie, il privato non avrebbe dimostrato la specifica non visibilità della grata. "L'insidia stradale non è un concetto giuridico, ma un mero stato di fatto che, per la sua oggettiva invisibilità e per la sua conseguente imprevedibilità, integra una situazione di pericolo occulto. Tale situazione, pur assumendo grande importanza probatoria in quanto può essere considerata dal giudice idonea ad integrare una presunzione di sussistenza di nesso eziologico con il sinistro e della colpa del soggetto tenuto a vigilare sulla sicurezza del luogo, non esime il giudice dall'accertare in concreto la sussistenza di tutti gli elementi previsti dall'art. 2043 c.c.". Il comportamento colposo tenuto dal ricorrente viene considerato dalla Cassazione come idoneo ad interrompere il nesso causale intercorrente tra condotta ed evento, escludendo quindi il ravvisarsi di responsabilità in capo alla pubblica amministrazione.