di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione terza, sentenza n. 24334 del 29 Ottobre 2013. Il dipendente - del settore pubblico o privato - è tenuto ad un generale dovere di obbedienza professionale nei confronti del superiore gerarchico, il quale detiene il potere di scelta e di indirizzo aziendale. Ma sino a che punto tale potere può essere esercitato nei confronti dei sottoposti? Nel caso di specie un dipendente pubblico viene licenziato senza preavviso poiché avrebbe dato seguito ad una richiesta illecita del suo datore di lavoro, ponendo in essere notifiche illegittime ai contribuenti. Il lavoratore, impugnata la sentenza
di primo grado, ne ottiene l'annullamento in appello poiché secondo il giudice del merito "detto licenziamento non sarebbe proporzionato per gravità ai fatti addebitati e contestati al lavoratore". Ricorre dunque in Cassazione l'Agenzia delle Entrate affermando al contrario, sulla base delle circostanze di fatto, la legittimità dell'applicazione della sanzione - prevista dal rispettivo contratto collettivo - del licenziamento.La Suprema Corte nel motivare la propria decisione di cassare con rinvio la sentenza impugnata afferma che la discrezionalità del giudice del merito (cioè della Corte d'Appello) non può operare laddove sia presente un contratto collettivo nazionale che individui specificamente i criteri da adottare nell'irrogare le diverse sanzioni ivi previste. Inoltre, concentrandosi sul problema del dovere di esecuzione degli ordini del superiore posto a carico del sottoposto, ricorda come - accanto al principio generale - operi un'importante eccezione: "se ritiene che l'ordine sia palesemente illegittimo, il dipendente deve farne rimostranza a chi l'ha impartito dichiarandone le ragioni; se l'ordine è rinnovato per iscritto ha il dovere di darne esecuzione". Circostanza non verificatisi nel caso di specie.
"Il dipendente non deve, comunque, eseguire l'ordine quando l'atto sia vietato dalla legge penale o costituisca illecito amministrativo". Nulla dunque in merito all'esclusione di una potenziale condotta dolosa e collusiva da parte del dipendente; la Corte d'Appello dovrà dunque rivisitare la propria decisione alla luce dei principi evidenziati dalla Cassazione.Vai al testo della sentenza 24334/2013