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Chi non ricorda Filumena Marturano, la protagonista della commedia scritta nel 1946 da Eduardo De Filippo?. Al cinema il personaggio e' stato interpretato magistralmente da Sofia Loren in "Matrimonio all' italiana" affiancata da Marcello Mastroianni nel ruolo di Don Mimi'.
Filumena e' una matura signora con un passato da prostituta, ed e'stata per venticinque anni la mantenuta di Don Domenico (Mimì) Soriano, ricco pasticciere napoletano e suo cliente di vecchia data.
Per costringere l'uomo a sposarla si finge morente ma Don Mimi' dopo aver scoperto l'inganno si rivolge ad un avvocato per annullare il matrimonio.
La donna in seguito a questo gesto gli confessa che ha tre figli e che uno di questi e' suo ma non rivelera' mai l'identità, affinché l'uomo si possa prendere cura di tutti e tre.La donna come prova ha una banconota sulla quale aveva riportato la data del concepimento del figlio e restituisce l'altra metà, non scritta, a Don Mimi' dicendogli la famosa frase" perché i figli non si pagano"...
E invece, "i figli si pagano"! A dirlo e' la Cassazione con la sentenza 26205 pubblicata il 21 novembre che statuisce il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale da illecito endofamiliare per quei figli non riconosciuti dal padre. Il padre e' ritenuto responsabile per la sola consapevolezza del concepimento e non la certezza assoluta della paternità.
Dunque, il vuoto emotivo, relazionale e sociale causato dall'assenza paterna nella vita dei figli può essere liquidato economicamente.
La vicenda in questione vede come protagonista un uomo che veniva condannato dalla Corte di Appello di Trieste a corrispondere ai figli un risarcimento di ben 150mila euro ciascuno a titolo di danno non patrimoniale da illecito endofamiliare come conseguenza del riconoscimento giudiziale della paternità naturale .
A sostegno della sua difesa l'uomo aveva dichiarato di non essere stato a conoscenza del suo status prima del giudizio, inoltre, riteneva tardiva l'azione intrapresa per la richiesta del danno non patrimoniale e contestava il fatto che non vi fossero prove certe circa la sofferenza dei ricorrenti.
Argomentava oltre, ritenendo che il danno non poteva essere riconosciuto in capo al secondo figlio perché al momento del concepimento la madre frequentava anche un altro uomo.
I Giudici di Piazza Cavour hanno però respinto il ricorso presentato dall'uomo sottolineando la circostanza che l'obbligo dei genitori di mantenere i figli sorge dalla nascita e discende dal mero fatto della generazione.
Questo preciso obbligo discende dall'art. 30 della Costituzione e non viene meno neppure quando il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, per il periodo anteriore alla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, essendo sorto sin dalla nascita nei confronti di entrambi i genitori.
In buona sostanza, nell'ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l'assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitore scatta automaticamente
una responsabilità aquiliana da illecito endofamiliare.
La Suprema Corte rimarca, peraltro, che nel caso di specie "il ricorrente ha avuto la piena possibilità di essere del tutto consapevole della probabilità della propria paternità, ma ne ha ignorato tutti i segnali, lasciando i priori figli "orfani " di una figura paterna.
In conclusione i giudici di Piazza Cavour hanno stabilito che il danno subito dai figli, a causa della mancanza del padre, ha avuto ripercussioni personali e sociali perché gli stessi hanno maturato la consapevolezza di non essere mai stati desiderati ed accolti come figli.
Questo grande vuoto affettivo ha tracciato un solco doloroso e di disagio nello sviluppo psico-fisico dei minori, destabilizzati nel profondo da questa assenza paterna nel percorso di crescita della loro vita.