di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione lavoro, sentenza n. 9654 del 6 Maggio 2014.
Cosa accade se nel corso di una causa di lavoro interviene il una sentenza penale di assoluzione?
Gli effetti non sono così scontati e non ci sono effetti automatici una volta che la sentenza di assoluzione è passata in giudicato.
Innanzitutto la Corte ricorda che il giudicato penale non può essere opposto al datore di lavoro che non ha partecipato a quel giudizio.
In secondo luogo la Cassazione fa notare che, in conformità ad un consolidato indirizzo giurisprudenziale, "ai sensi dell'articolo 652 cpp (nell'ambito del giudizio civile di danni) e dell'articolo 654cpp (nell'ambito di altri giudizi civili) il giudicato di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo ove contenga un effettivo e specifico accertamento circa l'insussistenza o del fatto o della partecipazione dell'imputato e non anche nell'ipotesi in cui l'assoluzione sia determinata dall'accertamento dell'insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l'attribuibilità di esso all'imputato, ossia quando l'assoluzione sia stata pronunciata norma dell'articolo 530 comma 2 cpp
Nel caso preso in esame dai giudici di Piazza Cavour, a seguito di aggressione fisica di un sottoposto ai danni del proprio dirigente, il primo veniva querelato e nei suoi confronti veniva avviato un procedimento penale. Successivamente il datore di lavoro intimava anche il licenziamento per giusta causa e ne scaturiva anche un contenzioso in sede civile.
Passata in giudicato la sentenza penale di assoluzione, l'interessato proponeva ricorso in Cassazione avverso la sentenza civile di merito che confermava il licenziamento.
La Cassazione ha quindi evidenziato che l'effetto preclusivo, per le ragioni sovra esposte non poteva operare in ambito civile essedosi formato un giudicato penale nella sola constatazione della mancanza di sufficienti elementi probatori circa la commissione del fatto o la sua attribuibilità all'imputato.
Insomma nel caso di specie si è trattata di sentenza di assoluzione pronunciata ai sensi dell'art. 530, secondo comma, c.p.p ("Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile").
Per il resto è da ritenersi legittimo il licenziamento per giusta causa disposto dal datore di lavoro poiché è incontestabile che il grave comportamento posto in essere dal ricorrente impedisca di fatto la prosecuzione armonica del rapporto di lavoro, laddove sono state minate le basi stesse del vivere civile.
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