La corte di cassazione ha affrontato il caso di un avvocato destinatario della sanzione disciplinare della censura per aver accettato un mandato difensivo per sporgere una denunzia-querela a carico di due ex clienti.
L'avvocato interessato impugnava il provvedimento innanzi al Consiglio nazionale forense, che però confermava la sanzione irrogata. Il caso finiva quindi dinanzi alla Corte di Cassazione.
Tra gli altri motivi di doglianza, l'avvocato aveva contestato il difetto di correlazione tra incolpazione e decisione disciplinare. A suo parere il Consiglio dell'ordine prima e il CNF poi avrebbero errato nel prendere in considerazione i presupposti normativi e di fatto utili alla risoluzione del caso di specie (in particolare, confusione tra le due figure del conflitto di interessi e del divieto di assunzione di incarico professionale contro ex cliente).
La Cassazione ritiene il ricorso infondato sulla base del fatto che la regola che l'interessato ritiene non rispettata "può ritenersi violata esclusivamente in presenza di modificazione degli elementi essenziali della materialità del fatto addebitato, che si traduca in effettivo pregiudizio per la possibilità di difesa" dunque solo in caso di "radicale trasformazione dei profili fattuali della fattispecie concreta che ingeneri incertezza sullo stesso oggetto dell'imputazione". Essendo tale valutazione a discrezione del giudice adito e non ravvisando lo stesso discrepanza tanto importante da poterla classificare come "radicale", il ricorso viene rigettato.
Vedi anche: La responsabilità professionale dell'avvocato. Un'anno di pronunce della Cassazione - Con raccolta di articoli e sentenze
Vai al testo della sentenza 11024/2014