di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza n. 11831 del 27 Maggio 2014.
In caso di contenzioso in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, il consulente tecnico d'ufficio - al fine di stabilire la sussistenza di nesso causale tra l'evento malattia (cancro polmonare) e l'esposizione del lavoratore all'amianto - oltre all'utilizzo dell'archivio "Amyant" detenuto presso l'Inail, può anche ricavare i dati necessari alla sua valutazione sia dalla descrizione delle mansioni che sono tipicamente assegnate agli operai impiegati presso lo stabilimento del datore di lavoro, sia da risultati scientifici ottenuti sul campo.
La società ricorrente avrebbe infatti dovuto attenersi agli indirizzi ministeriali concernenti le cautele da adottare in caso di espletamento di attività pericolose; né rileva la difesa societaria in merito alle scarse conoscenze dell'epoca poiché è noto che in Italia la nocività dell'amianto - grazie anche al recepimento di alcune direttive di origine comunitaria - era conosciuta già prima degli anni settanta.
La Suprema corte ritiene che la società ricorrente, soccombente in grado di appello e condannata al risarcimento del danno, avrebbe contestato nel merito le risultanze probatorie limitandosi a proporre soluzioni alternative, operando dunque una contestazione circa l'apprezzamento del ctu e non tanto riferendosi a precisi vizi procedurali. Nè i metodi adottati del ctu risultano in qualche modo contestati nei gradi di merito. Le mansioni a cui era dedito il lavoratore danneggiato - quelle di saldatore - emergevano infatti in corso di causa nella loro oggettività e non sono mai state oggetto di contestazione. Infine, è corretto il procedimento logico adottato dalla Corte d'appello, la quale ha escluso che il vizio del fumo potesse in qualche modo aver influito nell'insorgere della malattia, accertato che il danneggiato avrebbe smesso di fumare ben trent'anni prima dell'insorgere del tumore. Il ricorso è rigettato.
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