di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza n. 12195 del 30 Maggio 2014.
Il caso di specie si riferisce al ricorso proposto da una banca, datrice di lavoro, contro la sentenza
d'appello che, in modificando la sentenza di primo grado, aveva accolto la domanda del lavoratore volta a far dichiarare l'illegittimità del proprio licenziamento. Il problema è sorto intorno a una questione formale inerente la legittimità della notifica di una delle due lettere contenenti contestazioni disciplinari, entrambe recapitate al domicilio eletto dal dipendente. La Corte d'appello aveva considerato una delle due lettere come non regolarmente pervenuta perché sulla busta non era indicato il nome del destinatario ma solo la denominazione di un club presso cui il lavoratore aveva eletto domicilio. La divergenza tra le indicazioni della busta e il destinatario della lettera, secondo la Corte d'appello avrebbe fatto venir meno la presunzione d'identità tra i due atti e quella di conoscenza da parte del reale destinatario della contestazione con conseguente illegittimità del licenziamento.Secondo la Cassazione la corte d'appello avrebbe basato la sua decisione sul rilievo che l'indicazione del nome del club sulla busta contenente una delle due lettere, non poteva far considerare validamente recapitata la missiva al lavoratore perché non sussiste alcun obbligo del club di consegnarla al diretto interessato.
La corte d'appello non aveva dato rilievo neppure al fatto che la lettera era stata materialmente consegnata alla figlia del lavoratore.
La Cassazione, in proposito, richiama il contenuto di cui all'articolo 1335 del codice civile che fa riferimento la presunzione di conoscenza. La norma, spiegano i giudici di piazza Cavour, fa sì che "ogni dichiarazione diretta ad una determinata persona si reputa conosciuta nel momento in cui giunge all'indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di averne notizia". Nel caso di specie. fa notare la Corte, la lettera di contestazione è stata recapitata proprio nel luogo prescelto dal lavoratore.
Oltre alla questione legata all'effettiva notifica e presa di conoscenza della contestazione, la Suprema Corte si pronuncia in merito alla rilevanza della pluralità di addebiti utili a giustificare il licenziamento per giusta causa del dipendente. Infatti, a prescindere dalla legittimità della notifica della contestazione in oggetto, essa afferma che "ove venga intimato il licenziamento per una pluralità di addebiti, la nullità della contestazione di alcuni di questi per mancato rispetto del termine a difesa del lavoratore si estende all'atto di recesso nel suo complesso solo ove risulti provato, ed accertato, che gli addebiti ritualmente contestati, siano di per sé insufficienti a giustificare il licenziamento". Ciascun fatto è autonomamente idoneo a giustificare la sanzione del licenziamento; per questo motivo, salvo che la gravità complessiva emerga solamente da un esame congiunto degli addebiti - la cui prova è posta a carico dell'interessato - è legittimo che il licenziamento intervenga anche solo a seguito di unica grave contestazione. Il ricorso è accolto e la sentenza cassata con rinvio.
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