Sulla base del rilievo che non ci sono parametri normativi specifici che consentono di determinazione il c.d. minimo vitale impignorabile, il giudice dell'esecuzione può, "in considerazione degli elementi concreti del caso (e non dovendo necessariamente fare riferimento all'importo di trattamento minimo di pensione indicato dallo stesso ente erogatore), pervenire all'individuazione dell'importo maggiormente adeguato" ad assicurare a chi subisce il pignoramento mezzi di vita".
Lo ha affermato la terza sezione civile della Corte di Cassazione, con sentenza n. 18225 depositata il 26 agosto 2014, in una fattispecie avente ad oggetto l'opposizione, da parte dell'impresa creditrice, all'ordinanza di assegnazione del credito pignorato nei confronti di un pensionato.
Denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 38 l. n. 448/2001 e 39 l. n. 289/2002, in particolare, il titolare dell'impresa ricorrente si doleva dell'erronea valutazione da parte del giudice dell'ammontare della quota di pensione impignorabile nella somma di euro 536,00 anziché in euro 427,58, come indicato dall'ente erogatore (Inps) per l'anno 2006.
Per i giudici di piazza Cavour il motivo è infondato. Ripercorrendo l'orientamento consolidato sulla impignorabilità parziale dei trattamenti pensionistici (cfr. Corte Cost. n. 506/2002), la S.C. ha affermato che la stessa è posta "a tutela dell'interesse di natura pubblicistica consistente nel garantire al pensionato i mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita (art. 38 Cost.)", finalità ancora più marcata dopo l'entrata in vigore della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea che mira ad "assicurare un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti" (art. 34, comma 3).
Pertanto, ha ribadito la Corte, è assolutamente impignorabile "la parte della pensione, assegno o indennità necessaria per assicurare al pensionato i mezzi adeguati alle esigenze di vita (c.d. minimo vitale), mentre ex art. 545, 4 co., c.p.c. è pignorabile, nei soli limiti del quinto, la parte residua". E l'indagine circa la sussistenza o l'entità della parte di pensione necessaria, in difetto di interventi del legislatore al riguardo, è rimessa, ha precisato la Corte, "alla valutazione in fatto del giudice dell'esecuzione, incensurabile in Cassazione se logicamente e congruamente motivata". Per cui ritenendo conforme ai principi espressi, la valutazione del giudice dell'esecuzione, nel ritenere maggiormente adeguato anche in considerazione del costo della vita un importo maggiore rispetto a quello indicato dall'Inps, la Corte ha rigettato il ricorso.
Qui sotto il testo della sentenza.
Corte di Cassazione sentenza n. 18225 / 2014