Prof. Luigino Sergio
Il fatto: Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 4696, depositata il 15 settembre 2014, interviene in merito ad un contenzioso avviato da un soggetto privato che aveva realizzato opere di urbanizzazione in eccedenza rispetto ad un piano di lottizzazione con lo scopo - stando a quanto afferma parte resistente - di rafforzare la propria aspettativa alla promozione urbanistica della proprietà; aspettativa che veniva successivamente frustrata dalla strumentazione urbanistica approvata dal Comune che non riconosceva l'edificabilità dell'area interessata.
Il soggetto appellante è dell'avviso che tali opere siano state e siano indebitamente utilizzate dal Comune e di conseguenza notificava al Comune un atto di diffida e messa in mora, con il quale invitava l'Amministrazione a riconoscere e dichiarare se opere e prestazioni dallo stesso eseguite su terreni di propria proprietà o di terzi fossero di pubblica utilità, chiedendo che in tal caso il Comune provvedesse all'acquisizione sanante, prevista dall'art. 42-bis del d.p.r. n. 327/2001 e alla corresponsione del relativo indennizzo previsto dal T.U. sull'edilizia.
Intercorrevano tra la parte lottizzante e l'Amministrazione comunale una serie di contatti volti a raggiungere una soluzione bonaria della controversia e si giungeva all'emanazione una deliberazione della Giunta comunale che riteneva meritevole di accoglimento la proposta formulata dalla parte privata.
Quest'ultima, ritenuto che il Comune non avesse assunto alcun atto di riconoscimento dell'indebito utilizzo dei terreni e delle opere di sua proprietà ed ogni ulteriore provvedimento previsto dall'art. 42-bis, proponeva ricorso al T.A.R. Toscana, con il quale chiedeva la dichiarazione d'illegittimità del silenzio mantenuto dal Comune interessato sulla domanda formulata dal ricorrente, diretta ad ottenere il riconoscimento o meno della pubblica utilità delle opere e delle prestazioni eseguite dal Comune e dallo stesso ricorrente sui terreni di sua proprietà o di proprietà di terzi, nonché per ottenere il giusto corrispettivo, secondo i criteri e le modalità stabilite dall'art. 42-bis del d.p.r. n. 327/2001.
Chiedeva, altresì, il riconoscimento dell'esecuzione, da parte del ricorrente, delle opere finalizzate al soddisfacimento di interessi pubblici o di pubblica utilità sui terreni di sua proprietà e/o di terzi; opere e terreni di fatto indebitamente utilizzati dal Comune interessato e mai acquisiti al patrimonio indisponibile comunale mediante procedimento di esproprio o dichiarativo di pubblica utilità, oltre all'accertamento dell'obbligo del Comune di provvedere all'acquisizione o meno al patrimonio pubblico di tutti i terreni di proprietà del ricorrente e delle relative opere, eseguite sempre dal ricorrente e finalizzate al soddisfacimento di interessi generali e/o di pubblica utilità, così come stabilito dall'art. 42-bis del d.p.r. n. 327/2001 e alla condanna del Comune a riconoscere la pubblica utilità dei beni e dei terreni di proprietà del ricorrente o dal medesimo realizzati ed a corrispondere al ricorrente, il corrispettivo dovuto ai sensi dell'art. 42-bis del d.p.r. n. 327/2001, per tutte le opere di interesse pubblico e/o di pubblica utilità dal medesimo eseguite su terreni di sua proprietà o di terzi, ivi compreso il valore commerciale dei terreni, secondo i prezzi correnti; nonché un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale dal ricorrente subito, da liquidarsi forfettariamente nella misura del dieci per cento del valore venale dei beni e delle opere e, comunque, nel rispetto dei criteri statuiti dal d.p.r. n. 327/2001.
La parte privata, in ipotesi subordinata, chiedeva il riconoscimento del diritto del ricorrente ad ottenere la restituzione di tutti i terreni a tutt'oggi occupati ed utilizzati per opere di interesse generale, mai acquisite nei modi di legge al patrimonio pubblico, con conseguente condanna del Comune a restituire detti terreni ed a risarcire al ricorrente tutti i danni, sia per l'illecita utilizzazione di detti terreni, sia delle opere dal medesimo realizzate nell'interesse della collettività.
La decisione del T.A.R.: Il T.A.R. Toscana, con sentenza n. 1756/2013, non definitivamente pronunciando, dichiarava inammissibili e infondate le domande volte all'accertamento della illegittimità dell'inerzia serbata dal Comune interessato sulla diffida posta in essere dalla parte privata, nonché al riconoscimento della pubblica utilità delle opere realizzate sui terreni di proprietà del ricorrente e alla condanna dell'amministrazione resistente ad acquistare i fondi illegittimamente occupati e corrispondere quanto dovuto a norma dell'art. 42-bis del d.p.r. n. 327/2001, disponendo, al contempo, la conversione del rito e la prosecuzione del giudizio nelle forme ordinarie sulla domanda di condanna restitutoria proposta dal ricorrente in via subordinata.
In definitiva il privato aveva sollecitato l'amministrazione predetta affinché riconoscesse e dichiarasse la corrispondenza delle opere da lui realizzate e di quelle eseguite sui fondi di sua proprietà agli scopi istituzionali dell'ente, e, in caso affermativo, provvedesse al pagamento del giusto corrispettivo secondo i criteri dettati dall'art. 42-bis del d.p.r. n. 327/2001.
Stante il silenzio serbato dal Comune interessato sulla diffida di parte privata, quest'ultima aveva fatto ricorso al T.A.R. affinché, fosse accertata, tra l'altro, la sussistenza di un obbligo giuridico di provvedere ai sensi del citato art. 42-bis.
Alla pretesa l'amministrazione intimata aveva resistito eccependo, l'inammissibilità del ricorso poiché nella fattispecie, non si configurerebbe alcuna ipotesi di silenzio significativo impugnabile e tanto meno potrebbe parlarsi di silenzio inadempimento, trattandosi di attività altamente discrezionale e, come tale, non coercibile.
Il Comune aveva sostenuto che le opere di urbanizzazione oggetto del contenzioso ed eseguite dal ricorrente in eccedenza rispetto agli obblighi nascenti da una datata Convenzione di lottizzazione «sarebbero state in realtà occasionate dallo specifico interesse … a far sì che l'intervento risultasse adeguatamente collegato ed integrato con il restante tessuto urbano del paese, onde valorizzare al meglio la lottizzazione stessa e rafforzare l'aspettativa alla promozione urbanistica di una sua proprietà residua».
Ai fini della configurabilità del silenzio-inadempimento della pubblica amministrazione non è sufficiente che questa ometta di provvedere su qualsivoglia istanza presentata da un privato, ma occorre che a quell'istanza corrisponda un vero e proprio obbligo giuridico di provvedere, sanzionato dall'ordinamento.
Ad avviso dei giudici del T.A.R. «appare inaccoglibile la domanda di parte privata volta alla declaratoria di illegittimità del silenzio serbato dal Comune interessato sulla diffida ad esso inoltrata per non sussistere in capo all'amministrazione procedente un obbligo giuridico di provvedere, e tanto meno di provvedere nel senso auspicato dal ricorrente».
A parere del T.A.R. inammissibile è poi anche la domanda di accertamento dell'utilitas e dell'arricchimento conseguiti dal Comune resistente attraverso il godimento dei terreni di proprietà del privato, la quale appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario.
Tutto ciò detto i giudici del T.A.R. respingono «la domanda di condanna proposta dal ricorrente mentre sulla domanda subordinata di condanna alla restituzione dei terreni va disposta la prosecuzione del giudizio con il rito ordinario, trattandosi di materia estranea al giudizio sul silenzio».
La decisione del C.d.S.: Avverso il primo capo della sentenza, la parte privata propone ricorso in appello di fronte al C.d.S., articolando due motivi di appello:
a) Con il primo motivo d'appello la parte privata chiede la riforma della sentenza gravata, laddove non ha riconosciuto l'obbligo per l'amministrazione di iniziare e concludere il procedimento, sollecitato dall'appellante e volto ad effettuare la valutazione amministrativa discrezionale, consistente nella scelta fra l'acquisizione autoritativa dell'immobile secondo la disciplina di cui all'art 42-bis del d.p.r. n. 327/2001 da una parte e l'opzione in favore della soluzione restitutoria e risarcitoria regolata dal diritto comune, dall'altra.
b) Con il secondo motivo d'appello, la parte privata contesta la sentenza del T.A.R. laddove ha dichiarato «inammissibile la domanda di accertamento della utilitas e dell'arricchimento conseguito dal Comune resistente attraverso il godimento dei terreni di proprietà [privata] … la quale appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario».
Il Comune interessato si è costituito in giudizio chiedendo il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza gravata del T.A.R Toscana.
Si ricorda che per ciò che attiene il primo motivo d'appello, il T.A.R. ha ritenuto che non si sia in presenza di un silenzio-inadempimento poiché, con riferimento al procedimento seguito, non sussisterebbe in capo all'Amministrazione procedente alcun obbligo giuridico di provvedere; motivo di appello che viene ritenuto meritevole d'accoglimento dal parte del C.d.S..
Ad avviso del C.d.S. l'art. 42-bis è stato emanato per consentire una legale via di uscita per i casi in cui una pubblica amministrazione avesse occupato senza titolo un'area di proprietà privata, in assenza di un valido ed efficace decreto di esproprio ed ha consentito la reintroduzione, con diversa disciplina, del potere discrezionale già attribuito dall'art. 43 del d.p.r. n. 327/2001, dichiarato anticostituzionale; la p.a. valutate le circostanze e comparati gli interessi in conflitto - può decidere se demolire l'opera e restituire l'area al proprietario oppure se disporre l'acquisizione, con la corresponsione al privato di un indennizzo per il pregiudizio subito, patrimoniale e non patrimoniale.
La scelta tra la possibilità di procedere all'acquisizione sanante o alla restituzione del bene deve derivare da una valutazione comparativa degli interessi in gioco, valutazione che spetta unicamente alla p.a. procedente.
Ad avviso dei giudici del C.d.S., però, il T.A.R. Toscana, con la gravata sentenza, n. 1756/2013, ha errato laddove ha ritenuto insussistente un obbligo di provvedere.
Infatti, l'occupazione sine titulo di beni immobili appartenenti a privati è una situazione di fatto del tutto contrastante con quella di diritto e la p.a. procedente deve tempestivamente adoperarsi per ripristinare una situazione di legalità.
«Il privato può dunque legittimamente domandare o l'emissione del provvedimento di acquisizione o, in difetto, la restituzione del fondo con la sua riduzione in pristino. Nell'attuale quadro normativo, le Amministrazioni hanno infatti l'obbligo giuridico di far venir meno - in ogni caso - l'occupazione "sine titulo" e, quindi, di adeguare comunque la situazione di fatto a quella di diritto. La p.a. ha due sole alternative: o restituisce i terreni ai titolari, demolendo quanto realizzato e disponendo la completa riduzione in pristino allo "status quo ante", oppure deve attivarsi perché vi sia un legittimo titolo di acquisto dell'area. Quello che le amministrazioni non possono pensare di continuare fare è restare inerte in situazioni di illecito permanente connesso con le occupazioni usurpative (Cons. St., Sez. IV, 26 marzo 2013, n. 1713)».
Il fatto che tali opere non siano state realizzate dalla p.a. ma dal privato stesso, non fa venir meno l'applicabilità delle disposizioni dell'art. 42-bis che nelle intenzioni del legislatore vuole rappresentare una legale via di uscita per tutti i casi in cui una pubblica amministrazione occupi, senza averne titolo, un bene di proprietà privata, in assenza di un valido ed efficace decreto di esproprio.
Il fatto che le opere utilizzate non siano state realizzata dal Comune potrà, semmai, rilevare nel caso in cui si proceda alla restituzione dei beni, non dovendosi in tal caso provvedere alla rimessione in pristino.
Secondo i giudici del C.d.S., «fermo restando quindi il carattere discrezionale della valutazione rimessa alla Amministrazione sulla possibilità di procedere ex art. 42- bis, non v'è dubbio che l'esercizio di tale potestà non possa protrarsi indefinitamente nel tempo, altrimenti l'inerzia dell'Amministrazione si tradurrebbe in un illecito permanente [fatto per cui] l'Amministrazione [ha] l'obbligo di provvedere al riguardo, essendo l'eventuale inerzia dell'Amministrazione configurabile quale silenzio-inadempimento impugnabile di fronte al giudice amministrativo».
Nel caso di specie il ricorrente è titolare di una situazione soggettiva protetta e, anche a fronte del notevole lasso di tempo intercorso, ha una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni dell'Amministrazione riguardanti la sua proprietà.
Ciò detto, a parere del Consiglio di Stato, va riformata la sentenza gravata del T.A.R. Toscana, n. 1756/2013; accolto il ricorso avverso il silenzio e riconosciuto l'obbligo per l'Amministrazione procedente di concludere il procedimento determinando, entro 60 giorni dal deposito della sentenza del C.d.S. n. 4696/2014, se intenda procedere o meno all'acquisizione del bene ex art. 42-bis del T.U. sull'espropriazioni, di cui al d.p.r. n. 327/2001.
Con riguardo al secondo motivo di appello, parte privata contesta la sentenza del T.A.R. toscana, laddove ha dichiarato «inammissibile la domanda di accertamento della utilitas e dell'arricchimento conseguito dal Comune resistente attraverso il godimento dei terreni di proprietà … la quale appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario ed è coperta dal giudicato formatosi per effetto della sentenza della Corte di Cass. n. 3322 del 12 febbraio 2010».
Sostiene la parte privata che tale statuizione del T.A.R. Toscana non sia conforme al contenuto e ai limiti delle domande avanzate in primo grado che sarebbero state rivolte, invece, a:
a) chiedere l'accertamento dell'indebita utilizzazione, in quanto mai acquisiti al patrimonio pubblico, dei terreni di proprietà sua o di terzi e delle opere sugli stessi eseguite;
b) all'accertamento dell'obbligo de Comune di assumere le proprie determinazioni in ordine all'acquisizione o meno dei terreni.
Secondo i giudici del C.d. S. deve rilevarsi come il T.A.R. Toscana abbia errato nel valutare il contenuto ed i limiti della domanda e, pertanto, va riformata la sentenza gravata n.1756/2013.
Con riferimento al punto a), come peraltro rilevato dalla stessa parte appellata, si tratta di materia estranea al rito del silenzio; deve quindi sul punto riformarsi la sentenza impugnata, prevedendo la prosecuzione del giudizio a seguito della conversione del rito anche in merito a tale aspetto.
«A seguito di conversione del rito, pertanto, il giudizio proseguirà di fronte al T.A.R. per l'esame della domanda di condanna alla restituzione dei terreni (come già disposto dal giudice di prime cure con statuizione non appellata) e anche per l'accertamento dell'utilitas e dell'arricchimento derivante dalla indebita utilizzazione degli stessi; in tale sede dovrà inoltre valutarsi l'eventuale efficacia preclusiva del giudicato formatosi a seguito della sentenza della Corte di Cassazione».
Per ciò che attiene al punto b), invece, si fa rinvio a quanto argomentato supra.
Prof. Luigino Sergio (già Direttore Generale della Provincia di Lecce; esperto in organizzazione e gestione degli enti locali).