Commette reato il padre che registra le telefonate dei figli minorenni. Spiare le loro conversazioni telefoniche non può essere mai giustificato neppure dall'esercizio del diritto/dovere di vigilare su di loro.
È quanto afferma la Corte di Cassazione con nella sentenza numero 41192/2014 che ha confermato una condanna per il reato di cui all'articolo 617 del codice penale inflitta dai giudici di merito a un uomo separato che aveva registrato le conversazioni tra la ex consorte e i figli.
La tesi dell'imputato
L'imputato ha tentato di difendersi davanti alla Corte sostenendo che il reato in contestazione non poteva essere applicato al caso di specie dato che i figli non possono considerarsi "altre persone" dato che non possono sottrarsi ai doveri di vigilanza che competono a un genitore.
Nel ricorso aveva anche evidenziato che il suo comportamento non avrebbe avuto carattere fraudolento avendo precedentemente avvertito la moglie della sua intenzione di registrare le telefonate.
Un altro motivo di gravame era il mancato riconoscimento della scriminante di cui all'articolo 51 del codice penale (l'aver agito nell'esercizio di un diritto o nell'adempimento di un dovere).
A suo dire infatti egli avrebbe dovuto controllare le telefonate dei figli perché soggetti a influenze negative da parte della madre.
Cosa ha detto la Corte
Secondo la Cassazione però nessuna delle doglianze può essere considerata meritevole di accoglimento e ha evidenziato che l'art. 617 del codice penale "tutela la libertà e la riservatezza delle comunicazioni telefoniche o telegrafiche contro la possibilità di indiscrezioni, interruzioni o impedimenti da parte di terzi. In particolare il diritto alla riservatezza della comunicazione o della conversazione implica la possibilità di escludere altri dalla conoscenza del contenuto della medesima e coerentemente la norma incriminatrice menzionata punisce in tal senso anche la condotta di colui che invece ne prenda cognizione senza il consenso dei titolari".
Nella parte motiva della sentenza
i giudici della Corte chiariscono inoltre che, contrariamente a quanto affermato dall'imputato nel ricorso, anche i figli minorenni vanno considerati come soggetti "altri" rispetto al padre e gli obblighi di vigilanza del genitore non possono legittimare la condotta tenuta dall'imputato dato che non esiste una vera e propria immedesimazione tra padre e figlio.La Corte ha poi ritenuto irrilevante la circostanza che l'imputato avesse preventivamente avvisato la madre della sua intenzione di registrare le telefonate perché tale informazione non equivale a quella in cui i soggetti intercettati siano resi partecipi dell'interferenza al momento della conversazione.
Perché non è applicabile la scriminante di cui all'art. 51 c.p.
I giudici di piazza Cavour evidenziano da ultimo che l'esimente di cui all'art. 51 del codice penale non appare applicabile alla fattispecie. La scriminante spiega la Corte, "sussiste solo se il fatto penalmente illecito sia stato effettivamente determinato dalla necessità di esercitare il diritto o di adempiere il dovere". Ma l'art. 51 c.p. non può "trovare applicazione in quei casi in cui detta necessità non ricorre". E comunque "il diritto/dovere di vigilare sulle comunicazioni del minore da parte del genitore" non giustifica "indiscriminatamente qualsiasi illecita intrusione nella sfera di riservatezza del primo" ma "solo quelle interferenze che siano determinate da una effettiva necessità, da valutare secondo le concrete circostanze del caso e comunque nell'ottica della tutela dell'interesse preminente del minore e non già di quello del genitore".
Per saperne di più si rimanda al testo della sentenza qui sotto allegato.
Testo sentenza Corte di Cassazione VI Sezione Penale 3 ottobre 2014, n. 41192