Nella fattispecie esaminata dalla Corte, l'alterazione era consistita nella eliminazione della clausola contenente il "patto di prova" nonché nella cancellazione delle parole indicanti la mansione del lavoratore e il progetto per il quale era stata prevista l'assunzione.
L'uomo ha tentato di giustificarsi nel corso del giudizio affermando di essere stato autorizzato a compiere tali modifiche, ma non aveva fornito alcuna prova al riguardo.
La suprema Corte ha evidenziato che nel caso di specie vi è stata una lesione del vincolo fiduciario che lo legava al datore di lavoro. Specie in un caso in cui il dipendente riveste un ruolo fondamentale come quello di responsabile del personale.
Nella parte motiva della sentenza i giudici di piazza Cavour ricordato che "è principio pacifico di questa Corte che, per stabilire in concreto l'esistenza di una giusta causa di licenziamento [...] occorre valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore [...] dall'altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell'elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare".
Naturalmente la valutazione sulla gravità e idoneità a integrare "giusta causa" di licenziamento compete ai giudici di merito e non è censurabile in sede di legittimità se congruamente motivata.
La Corte territoriale, spiegano gli Ermellini, ha applicato correttamente questo principio rilevando come il dipendente avesse alterato pattuizioni che erano rimesse invece all'esclusiva volontà contrattuale del datore di lavoro. E' stata anche presa in considerazione la particolare posizione lavorativa del responsabile della gestione del personale.
Vai al testo della sentenza n.21079/2014 della Corte di Cassazione