La causa di giustificazione prevista dall'art. 54 c.p. "richiede l'assoluta necessità della condotta e l'inevitabilità del pericolo". Pertanto, non è ravvisabile alcuno stato di necessità se una famiglia, per garantirsi l'approvvigionamento di acqua rimuova i sigilli apposti al contatore dopo l'interruzione della fornitura, quando a poca distanza dalla propria abitazione c'è una fonte pubblica da cui poter attingere.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione (VI sezione penale), nella sentenza n. 41069 depositata il 2 ottobre 2014, annullando la sentenza di assoluzione del Tribunale di Livorno di due coniugi dal reato di furto aggravato loro ascritto, poiché ritenuta ravvisabile la causa di giustificazione ex art. 54 codice penale.
La vicenda era relativa a un presunto allaccio abusivo alla rete idrica, realizzato dai due imputati a seguito dell'interruzione della fornitura da parte dell'azienda competente, mediante rimozione forzata dei sigilli apposti, per poter usufruire della somministrazione di acqua a servizio della loro abitazione.
Per il giudice di merito era decisiva la circostanza della situazione di grave disagio e precarietà in cui versava il nucleo familiare e il carattere di prima necessità, sotto il profilo delle esigenze igieniche e alimentari, del servizio afferente l'erogazione dell'acqua, considerata la presenza in famiglia di due figli minori, di cui uno neonato, e lo stato di gravidanza della donna.
Gli imputati si erano dunque trovati, secondo il tribunale, "in presenza della necessità di salvare non solo se stessi, ma soprattutto i loro figli dal pericolo grave ed attuale di un danno consistente in rischio di malattie conseguenti alla mancanza di acqua, tant'è che l'amministrazione comunale ha ritenuto di doversi far carico del costo dell'acqua ad uso degli imputati, ripristinandone l'erogazione".
Il procuratore generale proponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenza del tribunale deducendo erronea interpretazione dell'esimente di cui all'art. 54 c.p. poiché la coppia poteva fronteggiare alle necessità "mediante l'accesso alla fontanella pubblica, distante solo 50 metri dall'abitazione - ben potendo provvedere - al trasporto di un quantitativo sufficiente di acqua, se l'imputata era incinta, il suo compagno".
La S.C. è dello stesso avviso.
"La scriminante in parola sarebbe stata erroneamente ravvisata - ha rilevato infatti la Cassazione, annullando la sentenza impugnata e rinviando alla corte d'appello per un nuovo giudizio - risultando dall'istruttoria dibattimentale che il pericolo di un danno grave fosse in concreto evitabile, sia pure a costo di scomodità e disagio". Né può assumere rilievo, ha concluso la S.C., il fatto "che il Comune si sia addossato le spese dell'acqua, poiché un conto è rispondere alle esigenze dei cittadini in difficoltà, altro giustificare la commissione di reati in situazioni fronteggiabili altrimenti".
Cassazione Penale, testo sentenza 2 ottobre 2014, n. 41069