di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza n. 22690 del 24 Ottobre 2014.
Quando un lavoratore, formalmente inquadrato come autonomo o con altra tipologia contrattuale, può far valere in giudizio le proprie ragioni e pretendere il riconoscimento, di fatto, della natura subordinata del rapporto di lavoro di cui è titolare?
La Suprema corte, nella sentenza in oggetto, ricorda che la qualificazione come subordinato di un rapporto di lavoro non può avvenire in maniera automatica per il solo fatto che viene osservato un orario di lavoro e che è previsto anche un compenso fisso mensile così come non basta l'accertamento di altri elementi cd. "sussidiari" rispetto alla vera e propria subordinazione.
Il vincolo di subordinazione deve essere inteso come "vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall'emanazione di ordini specifici, oltre che dall'esercizio di un'assidua attività di vigilanza e controllo dell'esecuzione delle prestazioni lavorative".
E' ipotizzabile anche nell'ambito del lavoro autonomo una forma di potere di indicazione, esercitato dal datore o dal lavoratore nei confronti dei colleghi, ma questo "diventa segnale di subordinazione solo ove il suo potere si eserciti quale subordinata esecuzione dell'assoggettamento a specifiche direttive che il datore gli abbia impartito".
Secondo la Cassazione è anche possibile che il lavoratore abbia un suo staff nei cui confronti propone assunzioni, promozioni, aumenti di stipendio e ferie ma anche in tal caso tutto ciò non può esprimere di per sé subordinazione potendo essere anche attuazione di un rapporto di lavoro autonomo.
La corte esclude anche la possibilità di riconoscere il rapporto subordinato sulla base del solo elemento della continuità (per diversi anni) del rapporto di lavoro.
Già in precedenza la stessa Corte di Cassazione aveva bocciato una sentenza dei giudici d'appello rinviandola per un nuovo esame alla corte d'appello dell'Aquila.
Inizialmente infatti i giudici di merito avevano riconosciuto un rapporto di subordinazione sulla base dei soli elementi "sussidiari, senza valutare in concreto l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, e senza attribuire alcun rilievo all'iniziale volontà delle parti quale risultante dagli atti negoziali in atti".
Anche la corte d'appello dell'Aquila rigettava il ricorso e a questo punto la Cassazione ha ricordato che il giudizio di rinvio "per il suo carattere "chiuso", è necessariamente vincolato all'osservanza del principio di diritto affermato dalla pronuncia rescindente"
In tale pronuncia la cassazione aveva chiarito che era necessario valutare l'esistenza o meno del requisito fondamentale del rapporto di lavoro subordinato "costituito proprio dalla "subordinazione", "ID EST" dal vincolo di soggezione del del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall'emanazione di ordini specifici, oltre che dall'esercizio di una simile attività di vigilanza e controllo nell'esecuzione delle prestazioni lavorative, occorre decisivamente osservare che la corte aquilana non ha svolto alcuna indagine o esame delle risultanze istruttorie al fine di accertare la subordinazione".
Insomma, secondo la Corte i giudici di merito non hanno valorizzato la chiara volontà negoziale delle parti che era indirizzata proprio nel senso della autonomia ed hanno dato rilievo solo ad elementi sussidiari della subordinazione come compenso fisso, l'osservanza dell'orario, la presenza del ricorrente nel piano ferie eccetera, senza considerare "che il potere di indicazione che il lavoratore eserciti eventualmente nei confronti di altri lavoratori, non costituisce, di per sé una manifestazione della sua subordinazione al datore, dato che è ipotizzabile anche nell'ambito di un rapporto di lavoro autonomo, mentre diventa segnali subordinazione solo ove il suo potere si eserciti quale subordinata esecuzione all'assoggettamento specifiche direttive che il datore gli abbia impartito".
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