Avv. Francesco Pandolfi
In ambiente militare, il diritto di denuncia non può essere soggetto, attraverso la minaccia della sanzione disciplinare, ad un filtro gerarchico.
Accade che Tizio, maresciallo con la qualità di specializzato comandante di motovedetta, impugna la sanzione disciplinare della consegna per 3 giorni inflittagli per essersi recato "presso l'autorità giudiziaria militare al fine di rappresentare fatti attinenti il servizio nel mancato rispetto dei rapporti gerarchici e senza informare il superiore diretto dell'avvenuto incontro con l'autorità giudiziaria"; inoltre, impugna il rigetto del ricorso gerarchico proposto avverso la suddetta sanzione ritenuto dal Comandante del Reparto Territoriale dei Carabinieri inammissibile perché presentato dal suo avvocato e non da lui direttamente.
Tizio segnala di aver presentato una denuncia orale alla Procura Militare per fatti attinenti all'organizzazione dei servizi navali ritenuti penalmente rilevanti, altresì di aver successivamente integrato detta denuncia indicando possibili abusi commessi dai responsabili della Stazione Scali Marittimi in merito ad un ingiustificato omesso servizio di polizia marittima nel porto di Napoli.
A parte la questione della modalità di presentazione del ricorso, rispetto alla quale il Tar Napoli ( sentenza n.3158/14 ) ritiene sufficiente rilevare che l'atto risulta sottoscritto personalmente dall'interessato, ancorché congiuntamente con il difensore, ciò che appare importante è la vicenda della sanzione.
Orbene, a prescindere dall'effettiva veridicità delle circostanze segnalate all'autorità giudiziaria, è lampante che il ricorrente ha esercitato un proprio diritto di denunciare sotto la propria personale responsabilità (penale e/o disciplinare sotto altri profili) fatti ritenuti delittuosi.
Nella fattispecie non si tratta di "una relazione di servizio e disciplinare" che doveva essere inoltrata per via gerarchica, ma dell'espressione di un diritto di denuncia che non può essere soggetto, attraverso la minaccia della sanzione, ad una sorta di filtro gerarchico.
Una diversa interpretazione condurrebbe alla inaccettabile conclusione che il militare venuto a conoscenza di un reato in qualche modo connesso al servizio che espleta, non potrebbe denunciarlo dovendo rivolgersi esclusivamente agli organi interni gerarchicamente sovraordinati.
Tanto più nelle ipotesi in cui, come nel caso di specie, il fatto ritenuto penalmente rilevante coinvolge in qualche modo proprio l'operato e il comportamento dei superiori gerarchici.
Evidente, per le ragioni che precedono (che rivestono carattere assorbente), l'illegittimità della sanzione inflitta non potendo il regolamento disciplinare militare essere interpretato e applicato nei termini in cui lo ha fatto l'amministrazione nella fattispecie analizzata dal Tar con la sentenza citata.
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