In tema di furto in abitazione, la nozione di privata dimora delineata dall'art. 624-bis c.p. è più ampia di quella generica di "abitazione", perciò nella stessa possono essere ricompresi "tutti quei luoghi nei quali le persone si trattengono per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della loro vita privata"e dunque anche i cantieri, dove "gli operai utilizzano spogliatoi e depositi per lasciare oggetti propri, utilizzando spazi per le necessità della vita personale, connessa all'attività lavorativa".
Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, con sentenza n. 2768 del 21 gennaio 2015, confermando la condanna inflitta dalla Corte d'Appello di Torino ad un uomo, colpevole del reato di cui all'art. 624-bis c.p. per essersi introdotto in un edificio in cui erano in corso lavori di ristrutturazione, sottraendo cose della società edile che svolgeva i lavori.
Ritenendo infondate le doglianze del ricorrente, circa l'erronea qualificazione del reato ex art. 624-bis c.p. piuttosto che come furto semplice (con conseguente declaratoria di non doversi procedere per mancanza di querela), in quanto avvenuto in ore notturne, di domenica, all'interno di un cortile disabitato e in totale fase di restauro, destinato alla sola attività di cantiere, la S.C. ha concordato, invece, con la statuizione della corte di merito.
Per i giudici della quinta sezione penale della Cassazione, la Corte d'Appello ha fatto buon governo dei principi affermati dalla giurisprudenza in materia, ritenendo priva di rilievo la deduzione difensiva secondo la quale il cantiere era chiuso per l'orario notturno e le ferie estive, giacchè la "dimora privata viene tutelata in quanto tale, anche in assenza delle persone dimoranti".
Né può dirsi, ha affermato la Corte, che, essendo lo stabile in ristrutturazione, non vi fossero luoghi riservati all'esplicazione della vita privata, dal momento che era stato "dimostrato che all'interno del cantiere gli operanti lasciavano una quantità di oggetti in deposito, finalizzati sia all'esercizio della loro attività lavorativa, sia della vita privata connessa".
Nessun dubbio, dunque, per la S.C. nell'inquadrare la fattispecie nella sfera applicativa del reato di cui all'art. 624 bis c.p. rigettando il ricorso.
Cassazione Penale, testo sentenza 21 gennaio 2015, n. 2768