La Suprema Corte ha sancito la "sacralità" del diritto di sciopero anche per gli operatori del diritto

Con una sentenza depositata pochi giorni fa, la Suprema Corte ha sancito la "sacralità" del diritto di sciopero anche per gli operatori del diritto, e su tale base ha rimesso in libertà un detenuto condannato a 10 anni per traffico di droga, il cui difensore era in sciopero nel giorno dell'udienza finale del processo di Appello.

I fatti vedevano il cittadino tunisino H. B. A. R. condannato nel 2008 in primo grado alla pena di 10 anni di carcere e 100.000 euro di multa, per aver partecipato insieme ad altri 4 ad una operazione di trasporto di grossi quantitativi di stupefacenti nell'hinterland padovano. Rappresentato dall'avv. Carlo Bermone, l'imputato aveva poi deciso di impugnare la decisione del Tribunale di Padova presentando ricorso presso la Corte d'Appello di Venezia.

Caso volle però che l'udienza di secondo grado che avrebbe dovuto decidere delle sorti di R. venisse fissata proprio il 20 settembre 2013, giorno scelto dall'Unione delle Camere Penali per una manifestazione di protesta contro «una politica sempre più debole sulla giustizia e inadempiente sulla emergenza carceri», alla quale l'avvocato Bermone aveva già deciso di aderire. Nonostante quest'ultimo si fosse recato la mattina del 20 settembre davanti ai giudici della Corte per spiegare che intendeva partecipare alla giornata di astensione collettiva e che quindi abbisognava di un rinvio, i magistrati decisero di procedere ugualmente motivando che la necessità di un pronunciamento destinato ad incidere sulla libertà personale di un imputato è preponderante rispetto al diritto di scioperare del suo legale.

Il risultato fu una conferma della condanna inflitta in primo grado, contro la quale l'avvocato ha proposto ricorso per Cassazione - come sappiamo - ottenendo ragione!

Stando infatti alle motivazioni degli Ermellini - in accordo anche con gli ultimi indirizzi delle Sezioni Unite della stessa Corte -: «L'adesione del difensore all'astensione dalle udienze proclamata in sede collettiva costituisce l'esercizio di un diritto di libertà costituzionalmente garantito». Su tali presupposti, la sentenza di condanna è stata cancellata e il secondo grado di giudizio è in attesa di celebrarsi di nuovo.

Nel frattempo, l'imputato resta libero e nella (eventuale) possibilità di delinquere ancora…


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