di Marina Crisafi - Non basta che dopo aver siglato un accordo di separazione, poi uno dei coniugi ci ripensi per far cambiare le condizioni precedentemente stabilite: la revisione dei patti, infatti, può essere richiesta soltanto sulla base di fatti sopravvenuti e non di fatti coevi o preesistenti che costituiscono conseguenza prevedibile delle condizioni concordate.
Così ha deciso la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 5109 del 13 marzo 2015, negando il diritto alla casa familiare
e all'assegno di mantenimento all'ex moglie che adiva il giudice di legittimità per sentire accogliere la modifica dei patti della separazione consensuale. In particolare, la donna si doleva del fatto che la Corte d'Appello di Bari avesse considerato prevedibili e conseguentemente non nuovi i fatti posti a base delle richieste di modifica dei patti, mentre al contrario le conseguenze degli stessi sullo sviluppo psico-fisico dei figli minori (alla donna affidati) si erano manifestate successivamente ad essi e non erano conosciute in precedenza. La donna chiamava in causa anche l'art. 155-ter c.c., in base al quale, con riferimento alla prole, non è richiesto il requisito della sopravvenienza del fatto.Confermando le statuizioni di merito, tuttavia, la Suprema Corte ha respinto tutte le istanze della donna, negandole l'assegnazione della casa coniugale, anche se affidataria dei figli minori, nonché l'assegno di mantenimento in suo favore.
"Il giudizio di revisione delle condizioni della separazione personale statuite con sentenza o contenute in un verbale omologato di separazione consensuale - hanno affermato, infatti, gli Ermellini - risiede sull'onere di dedurre e allegare fatti diversi (non conosciuti né conoscibili) o sopravvenuti rispetto a quelli che hanno costituito il fondamento materiale e fenomenico delle pregresse condizioni".
Ciò non è avvenuto nel caso di specie, nel quale non possono valere ad essere qualificati come fatti nuovi e dunque a modificare le statuizioni precedenti, né "il gradimento soggettivo delle condizioni stabilite" né "il ripensamento". Né tanto meno, ha concluso la S.C. rigettando il ricorso, può essere considerato pertinente il riferimento all'art. 155-ter c.c., considerato che la "revisione richiesta non ha ad oggetto l'affidamento dei figli minori o la modifica del contributo per il loro mantenimento ma esclusivamente un mutamento del regime dell'assegnazione della casa coniugale, escluso dalla previsione normativa, nonché l'attribuzione di un assegno di mantenimento al coniuge, rientrante invece nell'ambito di applicazione dell'articolo 156, settimo comma c.c.".