di Marina Crisafi - Il rapporto di parentela non esclude il diritto del professionista al compenso per l'attività prestata. Per cui anche se il cliente è la madre dell'avvocato va liquidata la voce per "corrispondenza informativa". Così ha stabilito la sesta sezione civile della Cassazione nella recente ordinanza n. 8869/2015, accogliendo in parte il ricorso di un avvocato avverso l'esiguità delle spese di lite liquidate dal tribunale in relazione a un giudizio di opposizione avverso preavviso di fermo per il mancato pagamento di 4 cartelle esattoriali.
Due i motivi di doglianza del professionista: l'individuazione di uno scaglione di valore del giudizio troppo basso e l'erronea esclusione del diritto di corrispondenza informativa.
Quanto al primo punto, il motivo è infondato.
Per piazza Cavour, infatti, la motivazione del tribunale è adeguatamente motivata in ordine al fatto che il valore della controversia, sul quale calcolare gli onorari, è quello accertato con la sentenza e non invece quello relativo al contenuto della domanda.
Del resto, ha aggiunto la S.C., se la concreta determinazione degli onorari è compresa tra i limiti minimi e massimi previsti dalla tariffa forense (nella specie d.m. 127/2004, oggi sostituito dalle tabelle dei parametri forensi allegate al dm n. 55/2014), la stessa è "esercizio di un potere discrezionale del giudice".
Quanto al secondo punto, invece, il Palazzaccio dà ragione all'avvocato, chiarendo che "un rapporto parentale, quale che questo sia, non consente di escludere il diritto del professionista ad ottenere il compenso per l'attività prestata. Piuttosto l'esclusione avrebbe potuto trovare fondamento nell'eventuale mancata dimostrazione che fosse stata svolta l'attività di cui si chiedeva la corresponsione".
Cassata, quindi, la sentenza d'appello che aveva escluso il pagamento di tale voce al legale, al quale vanno i 23 euro indebitamente decurtati!