La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sent. 13067/2007) ha stabilito che non può essere radiato dall'Albo dei giornalisti chi dirige riviste pornografiche non conformi all'attività giornalistica.
Con questa decisione la Corte ha respinto il ricorso del Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti contro la reintegra nell'Albo di una direttrice di riveste porno. Secondo la Corte "devono rifiutarsi, perchè non costituzionalmente orientate, tutte le interpretazioni della normativa sulla professione dei giornalisti volte, come pretende il Consiglio nazionale dell'Ordine ad attribuire" al consiglio stesso dei giornalisti "il potere di discriminare le pubblicazioni periodiche 'degne' di essere edite, e per le quali e' conforme alla dignità professionale del giornalista assumerne la direzione, dalle altre che siano, dai detti Consigli, ritenute prive di alcunché di creativo sul piano dell'informazione e della critica e che possano configurarsi in produzione giornalistica".
Nel caso di specie, precisano i Giudici che "è di palmare evidenza che esulano dal tema di indagine tutti gli accertamenti, in fatto, inutilmente sollecitati e volti a dimostrare alla luce di una giurisprudenza, formatasi, del resto, non nell'ambito di procedimenti disciplinari a carico di giornalisti, ma in controversie di lavori, tra giornalisti ed editori, la natura non giornalistica dell'attività svolta" dalla direttrice della rivista porno e che "mediante l'apparente controllo sul comportamento dei propri iscritti", l'Ordine dei Giornalisti in realtà ha attuato ciò che non è ammesso ovvero "una censura preventiva circa il contenuto della stampa periodica".
Con questa decisione la Corte ha respinto il ricorso del Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti contro la reintegra nell'Albo di una direttrice di riveste porno. Secondo la Corte "devono rifiutarsi, perchè non costituzionalmente orientate, tutte le interpretazioni della normativa sulla professione dei giornalisti volte, come pretende il Consiglio nazionale dell'Ordine ad attribuire" al consiglio stesso dei giornalisti "il potere di discriminare le pubblicazioni periodiche 'degne' di essere edite, e per le quali e' conforme alla dignità professionale del giornalista assumerne la direzione, dalle altre che siano, dai detti Consigli, ritenute prive di alcunché di creativo sul piano dell'informazione e della critica e che possano configurarsi in produzione giornalistica".
Nel caso di specie, precisano i Giudici che "è di palmare evidenza che esulano dal tema di indagine tutti gli accertamenti, in fatto, inutilmente sollecitati e volti a dimostrare alla luce di una giurisprudenza, formatasi, del resto, non nell'ambito di procedimenti disciplinari a carico di giornalisti, ma in controversie di lavori, tra giornalisti ed editori, la natura non giornalistica dell'attività svolta" dalla direttrice della rivista porno e che "mediante l'apparente controllo sul comportamento dei propri iscritti", l'Ordine dei Giornalisti in realtà ha attuato ciò che non è ammesso ovvero "una censura preventiva circa il contenuto della stampa periodica".
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