CORTE COSTITUZIONALE - SENTENZA N. 7 ANNO 1986
SENTENZA N. 7 ANNO 1986
REPUBBLICA
ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
Prof. Livio PALADIN, Presidente
Avv. Oronzo REALE
Avv
Albero MALAGUGINI
Prof. Antonio LAPERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof.
Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore
GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco
GRECO
Prof. Renato DELL’ANDRO,Giudici,
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale dell'art. 18, secondo comma, legge 20 maggio 1970 n. 300 (Norme
sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e
della attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento) promosso
con ordinanza emessa il 15 dicembre 1977 dal Pretore di Varese nel procedimento
civile vertente tra Baratelli Enrico e Ditta S.a.s. Plastak Machinery ed altro,
iscritta al n. 360 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 285 dell'anno 1978.
Visto l'atto di intervento
del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio
del 10 dicembre 1985 il Giudice relatore Francesco Greco.
Ritenuto in
fatto
Con ricorso al Pretore di Varese, Baratelli Enrico esponeva che il 10
ottobre 1972 era stato licenziato dalla S.a.s. Plastak Machinery; che, con
sentenza 28 febbraio 1974, lo stesso Pretore, dichiarando nullo il
licenziamento, lo aveva reintegrato nel posto di lavoro, con la condanna della
nominata società al risarcimento del danno nella misura di nove mensilità di
retribuzione; che il 4 marzo 1974 aveva transatto la lite dichiarando di
dimettersi ed ottenendo l'impegno della datrice di lavoro alla regolarizzazione
della posizione assicurativa presso l'I.N.P.S. per il periodo compreso fra la
data della sentenza di reintegrazione e quella del licenziamento; che tale
regolarizzazione non era avvenuta e l'I.N.P.S., dal canto suo, gli aveva
rifiutato l'erogazione dell'indennità di disoccupazione assumendo, con
riferimento al periodo suddetto, che le somme versate a titolo risarcitorio per
il licenziamento illegittimo non erano soggette a contribuzione
assicurativa.
Tanto premesso, il Baratelli chiedeva che della S.a.s. Plastak
Machinery si dichiarasse l'obbligo al versamento dei contributi assicurativi e
previdenziali per il periodo 10 ottobre 1972-28 febbraio 1974, quanto meno sulla
base delle nove mensilità di retribuzione corrisposte a titolo di risarcimento
del danno, e che l'I.N.P.S. fosse, da un lato, dichiarato tenuto a ricevere i
contributi stessi e, dall'altro, condannato all'erogazione dell'indennità di
disoccupazione.
Il giudice adito, con ordinanza emessa il 15 dicembre 1977
(R.O. n. 360/78) ha sollevato la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300, in relazione agli artt. 3 e 38
Cost., in quanto non prevede, a favore del lavoratore giudizialmente reintegrato
nel posto di lavoro, l'obbligo del datore di lavoro di versare all'I.N.P.S. i
contributi assicurativi commisurati alle somme che il lavoratore stesso avrebbe
percepito, come normale retribuzione, nel periodo compreso fra la data del
licenziamento illegittimo e quella dell'ordine giudiziale di
reintegrazione.
Il giudice a quo ha rilevato che, nell'interpretazione della
norma censurata, debba ritenersi jus receptum che al lavoratore licenziato
compete, per il suddetto periodo, il solo risarcimento del danno e non già
questo in aggiunta alle normali retribuzioni, dal che, appunto, nasce il
problema di una efficace tutela previdenziale relativamente al medesimo
periodo.
Se é vero che il risarcimento del danno configura un quid pluris
rispetto alle retribuzioni perdute, in guisa che delle relative erogazioni
economiche non può non tenersi conto anche a fini previdenziali, come é stato
ritenuto da Cass. 23 maggio 1976 n. 1927, non é men vero che, in quest'ottica,
le esigenze della tutela suddetta risultano efficacemente assicurate soltanto
nel caso in cui l'ammontare del danno liquidato sia almeno pari al complessivo
importo delle retribuzioni che sarebbero state versate nel periodo in questione
se non vi fosse stata
interruzione delle prestazioni lavorative.
Il
problema permane, invece, nei casi in cui, come in quello di specie (nel quale,
a fronte di un periodo di carenza retributiva pari a 17 mesi, vi é stato un
risarcimento commisurato a sole nove mensilità di retribuzione), l'ammontare del
danno liquidato sia inferiore a quello delle retribuzioni perdute.
Le varie
soluzioni, in tali casi teoricamente prospettabili, risultano tutte
inaccoglibili.
Cosl', innanzitutto, quelle per cui i contributi dovrebbero
essere commisurati alle retribuzioni " virtuali ", come se il rapporto di lavoro
avesse avuto regolare esecuzione: la soluzione sarebbe appagante ai fini di
compiutezza della tutela assicurativa del lavoratore illegittimamente
licenziato, oltre che coerente con l'efficacia cosiddetta reale dell'ordine di
reintegrazione nel posto di lavoro (che postula la continuità del rapporto), ma
é resistita dal disposto dell'art. 12 della legge n. 153/69, che considera base
imponibile agli effetti contributivi solo tutto ciò che sia dal datore di lavoro
" dovuto " in dipendenza del rapporto, laddove, nel periodo in questione, alla
stregua dei ricordati risultati interpretativi, la norma censurata esclude che
le retribuzioni sono " dovute ", riconoscendo soltanto il diritto al
risarcimento del danno.
D'altra parte, la soluzione di ritenere carente, nel
medesimo periodo, ogni obbligo contributivo urta contro lo spirito della legge
n. 300/70, la quale, essendo orientata nel senso di assicurare al lavoratore
illegittimamente licenziato una più intensa tutela, difficilmente può
legittimare una operazione ermeneutica che si proponga di ovviare al silenzio
serbato sul punto in contestazione con l'individuazione di un implicito diniego
di quelle provvidenze riconosciute, invece, ad altri lavoratori temporancamente
sprovvisti di occupazione per fatto proprio (ivi compresa l'indennità di
disoccupazione).
Se, per contro, si ritiene retribuzione imponibile il solo
ammontare del danno liquidato, si incontra preliminarmente la difficoltà di
riferire la contribuzione a precisi periodi di paga; e quand'anche questa fosse
superabile rapportando ai mesi decorsi l'ammontare suddetto, si otterrebbe,
comunque, il risultato di un imponibile mensile inferiore a quello delle
retribuzioni teoricamente maturate, con possibili riflessi negativi ai fini
pensionistici, in danno del lavoratore che abbia dovuto affrontare una vicenda
giudiziaria di lunga durata e che si trova così discriminato rispetto a quello
che abbia potuto fruire di una pronunzia di reintegrazione nel volgere di pochi
mesi secondo lo spirito della novella n. 533/73.
In casi come quello di
specie, pertanto, la norma censurata determinerebbe, comunque, il risultato di
negare del tutto o di riconoscere in modo insufficiente (così violando l'art. 38
Cost.) la tutela previdenziale del lavoratore illegittimamente licenziato,
assoggettandolo altresì irrazionalmente (in violazione dell'art. 3 Cost.) non
solo alle ricordate conseguenze discriminatorie connesse alla durata del
giudizio, ma anche a quelle ulteriori del deteriore trattamento che gli verrebbe
riservato rispetto al lavoratore licenziato a buon diritto, il quale, oltre che
all'indennità di occupazione (artt. 3, 37 e 45 R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827 e
2, 3, 6 e 27 del R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636), ha diritto anche
all'accreditamento della contribuzione " figurativa " da parte dell'I.N.P.S. per
tutto il periodo di spettanza di tali indennità (art. 10, d.P.R. 26 aprile 1957,
n. 818).
L'ordinanza, regolarmente comunicata e notificata, é stata
pubblicata con la Gazzetta Ufficiale n. 285 dell'11 ottobre 1978.
Nel
susseguente giudizio davanti a questa Corte é intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri, per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, che
ha insistito per la declaratoria di infondatezza della questione.
Ha
osservato, in particolare, che, secondo la sopra riferita pronuncia della Corte
di cassazione, il risarcimento del danno in questione, presupponendo la
permanenza in vita del rapporto di lavoro e l'inadempimento dell'obbligazione
retributiva, non può essere commisurato almeno all'importo delle retribuzioni
perdute.
Su tale quantificazione possono incidere, determinandone la
minorazione, circostanze accidentali alla cui stregua il danno liquidato può non
coincidere con il lucro cessante integrale: ma, per questo aspetto, la norma si
limita a regolare i rapporti fra datore di lavoro e lavoratore senza produrre
riflessi negativi sul distinto rapporto previdenziale, geneticamente collegato a
quello di lavoro, sicché, nell'ambito di questo secondo, l'obbligazione
contributiva non cessa di essere commisurabile all'effettivo importo delle
retribuzioni maturate e " dovute ", anche ove l'intero ammontare di queste non
coincida con quello del danno liquidato, a cagione di elementi estranei al
rapporto previdenziale.
Inoltre, quand'anche si volesse ritenere come unica
base imponibile l'ammontare del danno effettivamente liquidato, ogni censura di
incostituzionalità della norma sarebbe mal posta, poiché questa non esclude
l'eventuale coincidenza del danno stesso con il lucro cessante integrale, con la
conseguenza che la mancanza della medesima costituisce una mera variabile di
fatto riferibile all'accertamento contenuto sul punto nella sentenza e non alla
regula juris.
Comunque erroneo sarebbe il riferimento, a fini comparativi,
alla posizione del lavoratore licenziato a buon diritto, dovendosi ritenere che,
nelle more del giudizio di impugnazione del licenziamento, anche al lavoratore
illegittimamente licenziato e non ancora reintegrato con sentenza esecutiva,
competa il diritto all'indennità di disoccupazione ed all'accreditamento della
contribuzione figurativa.
La stessa opzione ermeneutica, consistente nella
negazione della sussistenza dell'obbligo assicurativo nel periodo de quo sarebbe
infine, compatibile con l'affermazione della piena legittimità della norma,
essendo chiaro che, in tal caso, funzione del previsto risarcimento del danno
non potrebbe non essere anche quella di tenere indenne il lavoratore del
pregiudizio subito a causa della lesione della sua posizione
assicurativa.
Considerato in diritto
1. - Il Pretore di Varese dubita
della legittimità costituzionale dell'art. 18, secondo comma, della legge 20
maggio 1970, n. 300, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., in quanto non
prevede, a favore del lavoratore licenziato senza giusta causa o giustificato
motivo e reintegrato nel posto di lavoro, l'obbligo del datore di lavoro di
versare all'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale i contributi
assicurativi in misura corrispondente a quella che sarebbe stata la normale
retribuzione nel periodo che va dal licenziamento illegittimo alla
reintegrazione.
Egli premette che il rapporto assicurativo-previdenziale
nasce al momento della costituzione del rapporto di lavoro subordinato, ne segue
le vicende e si estingue con l'estinzione del rapporto di lavoro; che nella
ipotesi di illegittimo licenziamento, prevista dalla predetta norma che assicura
la c.d. tutela reale, il rapporto di lavoro non si interrompe per l'arco di
tempo compreso tra il licenziamento e la pronuncia giudiziale di illegittimità
del licenziamento e conseguente reintegrazione, sicché ne dovrebbe logicamente
conseguire, a parere dello stesso remittente, la persistenza del rapporto
assicurativo-previdenziale e dello stesso obbligo contributivo del datore di
lavoro.
Invece, il citato art. 18 della legge n. 300 del 1970, per il
suddetto periodo prevede, a favore del lavoratore, solo il risarcimento del
danno del quale specifica l'ammontare minimo in cinque mensilità, lasciando al
giudice del relativo giudizio la determinazione del massimo, mentre prevede il
ripristino della retribuzione solo per il periodo successivo all'ordine di
reintegrazione nel posto di lavoro.
Lo stesso Pretore ricorda la
giurisprudenza della Corte di cassazione, sia in materia di risarcimento danni
da licenziamento illegittimo, sia in materia di determinazione della misura
della contribuzione riferentesi a ciò che il lavoratore riceve in dipendenza
della prestazione di lavoro ed in ogni caso, ad una somma che non può essere
inferiore alla retribuzione comunque dovuta. Rileva che nella fattispecie
trattasi di risarcimento di danno liquidato in misura inferiore all'ammontare
delle retribuzioni spettanti per il periodo di durata della sospensione del
rapporto di lavoro (nove mensilità, al posto di diciassette mensilità) e
ritiene, quindi, che sussista disparità di trattamento (art. 3 Cost.) nei
confronti del lavoratore licenziato per giusta causa o giustificato motivo, il
quale, oltre all'indennità di disoccupazione (artt. 3, 37, 45 del R.D.L. 4
ottobre 1935, n. 1827, e artt. 2, 3, 6, 27 del R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636),
ha diritto all'accreditamento della contribuzione figurativa da parte
dell'I.N.P.S. per tutto il periodo per il quale gli spetta l'indennità (art. 10,
d.P.R. 26 aprile 1957, n. 818) ed anche rispetto al lavoratore la cui
reintegrazione nel posto di lavoro sia potuta avvenire cosl' sollecitamente da
assicurare, con il danno liquidato, anche le retribuzioni dovute per il periodo
dell'abusivo allontanamento dal posto di lavoro. Ritiene, inoltre, che sussista
anche la violazione dell'art. 38 Cost. in quanto risulta leso il precetto della
tutela previdenziale del lavoratore.
2. - La questione non é fondata.
La
Corte rileva che l'art. 18 della legge n. 300 del 1970 (Statuto dei lavoratori)
prevede, anzitutto (primo comma), che il giudice, con la sentenza con cui
dichiara la inefficacia del licenziamento, intimato ai sensi dell'art. 2 della
legge n. 604 del 1966 o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o
giustificato motivo ovvero ne dichiara la nullità a norma della stessa legge,
ordina al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro; ed
inoltre (secondo comma), che il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno
subito per il licenziamento di cui sia stata accertata l'inefficacia o
l'invalidità o sia stata dichiarata la nullità nella misura minima di cinque
mensilità di retribuzione, determinata ai sensi dell'art. 2121 cod. civ.; ed,
infine, che, nel caso in cui il datore di lavoro non ottemperi alla sentenza che
dispone la reintegrazione, il lavoratore ha diritto alle retribuzioni dovute in
virtù del rapporto, dalla data della sentenza a quella della
reintegrazione.
Ora, sia i giudici di merito che la Corte di cessazione
ritengono che:
a) a seguito e per effetto dell'introduzione, da parte del
legislatore del 1970, del principio della cd. stabilità reale, il licenziamento,
poi ritenuto illegittimo, interrompe la prestazione del lavoro ma non il
rapporto di lavoro con la conseguenza che non viene meno nemmeno il rapporto
assicurativo;
b) la reintegrazione ordinata dal giudice ripristina la
situazione anteriore al licenziamento anche per quanto riguarda la prestazione,
che riprende vigore una volta eliminata la parentesi dell'illegittimo atto di
recesso;
c) per il periodo tra il licenziamento e la reintegrazione, il danno
risarcito (così qualificato, attesa la possibilità del verificarsi di più
ipotesi non tutte omogenee, sebbene riconducibili ad una sanzione risarcitoria
dotata di una attitudine plurifunzionale) si identifica anzitutto con quanto il
lavoratore avrebbe avuto diritto di percepire in forza dell'obbligazione propria
del rapporto, cioé anzitutto con la retribuzione, fatti salvi, però, il maggior
danno da provarsi dal lavoratore e l'aliunde perceptum dal lavoratore,
detraibile, se provato dal datore di lavoro;
d) per il periodo di tempo che
va dal provvedimento di reintegrazione alla effettiva ripresa del lavoro, sono
dovute specificamente le retribuzioni.
Pertanto, in tale situazione, siccome
il licenziamento illegittimo non produce la cessazione del rapporto di lavoro e,
quindi, del rapporto assicurativo-previdenziale ad esso collegato, e siccome
anche per il periodo compreso tra il licenziamento ed il provvedimento di
reintegrazione sono dovute le retribuzioni, sia pure comprese nel danno
liquidato, e sussiste la possibilità che sia coperto tutto il periodo di
sospensione della prestazione del lavoro avendo la norma di previsione
determinato solo il minimo del danno risarcibile e non il massimo, non può
assolutamente affermarsi che non sussista l'obbligo contributivo del datore di
lavoro.
L'eventualità di una determinazione del danno in misura diversa
dall'intero ammontare delle retribuzioni non dipende dalla norma di previsione
che ha lasciato al giudice la determinazione del massimo del danno, con la
possibilità che siano comprese tutte le retribuzioni ed anche i contributi
omessi, ma solo dall'oggetto della domanda del lavoratore o dalla sentenza
riparatrice.
La stessa determinazione del minimo, che questa Corte ha già
ritenuto costituzionalmente legittima (sent. n. 178 del 1975
), può
comprendere anche una parte delle retribuzioni dovute se risultano essere di
entità inferiore alle cinque mensilità, o tutte le retribuzioni se il loro
ammontare coincide con le cinque mensilità liquidate.
3. - Non sussiste
quindi, la denunciata violazione dell'art. 3 Cost. nei confronti del lavoratore
illegittimamente licenziato, per il quale la sospensione della prestazione duri
meno di cinque mesi, potendo, in ogni caso, il lavoratore ottenere tutte le
retribuzioni per il periodo di sospensione della prestazione. E nemmeno sussiste
nei confronti del lavoratore licenziato per giusta causa, che può ottenere
l'indennità di disoccupazione in quanto la sua situazione non é identica né
omogenea a quella del lavoratore licenziato senza giusta causa o giustificato
motivo perché mentre per il primo il rapporto di lavoro si estingue, per
l'altro, invece, il rapporto di lavoro non cessa ma solo é interrotta la
prestazione del lavoro.
Né sussiste la denunciata violazione dell'art. 38
Cost. in quanto, come si é detto, non essendo venuto meno il rapporto di lavoro,
non si é estinto nemmeno il rapporto assicurativo-previdenziale ad esso
collegato ed il conseguente obbligo contributivo del datore di lavoro. E ciò
tanto più che, specie ai fini previdenziali, la retribuzione, nella moderna
concezione del rapporto di lavoro, non é più il corrispettivo della prestazione
di lavoro ma ha natura di salario previdenziale ed, in un certo senso,
alimentare, comprensiva di tutto ciò che al lavoratore é corrisposto in
dipendenza del rapporto di lavoro (art. 12, legge 30 aprile 1969, n.
153).
Pertanto, nei sensi suddetti, va dichiarata l'infondatezza della
sollevata questione di legittimità costituzionale.
PER QUESTI
MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata, ai sensi di
cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 18
della legge 20 maggio 1970, n. 300, sollevata dal Pretore di Varese con la
ordinanza in epigrafe, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost..
Così deciso in
Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, l'8 gennaio 1986.
Livio PALADIN - Oronzo REALE -
Albero MALAGUGINI - Antonio LAPERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI -
Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe
BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO
Depositata in
cancelleria il 14 gennaio 1986.