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Congedo per assistenza coniuge convivente di soggetto con handicap



Prof. Raffaele Manzoni - INTERPELLO MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI

L'art. 42 c. 5 del decreto legislativo 151/2001, e successive modifiche ed integrazioni, stabilisce che il coniuge convivente di soggetto con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell'articolo 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ha diritto a fruire del congedo di cui al comma 2 dell'articolo 4 della legge 53/2000, entro sessanta giorni dalla richiesta. In caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, ha diritto a fruire del congedo il padre o la madre anche adottivi; in caso di decesso, mancanza o in presenza di patologie invalidanti del padre e della madre, anche adottivi, ha diritto a fruire del congedo uno dei figli conviventi; in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti dei figli conviventi, ha diritto a fruire del congedo uno dei fratelli o sorelle conviventi. Tale congedo non può superare la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell'arco della vita lavorativa.

Il congedo è accordato a condizione che la persona da assistere non sia ricoverata a tempo pieno, salvo che, in tal caso, sia richiesta dai sanitari la presenza del soggetto che presta assistenza. Il congedo ed i permessi di cui articolo 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 non possono essere riconosciuti a più di un lavoratore per l'assistenza alla stessa persona. Per l'assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, i diritti sono riconosciuti ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente, ma negli stessi giorni l'altro genitore non può fruire dei benefici di cui all'articolo 33, commi 2 e 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e 33, comma 1.

Durante il periodo di congedo, il richiedente ha diritto a percepire un'indennità corrispondente all'ultima retribuzione, con riferimento alle voci fisse e continuative del trattamento, e il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa; l'indennità e la contribuzione figurativa spettano fino a un importo complessivo massimo di euro 43.579,06 annui per il congedo di durata annuale. Detto importo è rivalutato annualmente, a decorrere dall'anno 2011, sulla base della variazione dell'indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati. Il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, con interpello n. 43 del 21.12.2012, ha fornito il proprio parere in merito alla corretta interpretazione della disposizione normativa di cui sopra, nella parte in cui contempla le ipotesi di “mancanza, decesso, o (…) presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente”, quali causali che legittimano la richiesta di fruizione del congedo in esame da parte di soggetti diversi dal coniuge stesso. In via preliminare, occorre muovere dalla lettura della citata norma, nella sua nuova formulazione, a seguito dell'emanazione del D.Lgs. n. 119/2011 – attuativo dell'art. 23 comma 1, L. n. 183/2010 – che ha introdotto importanti modifiche alla disciplina in argomento sia in relazione ai soggetti possibili fruitori, che alle modalità di accesso all'agevolazione medesima. Nello specifico la norma stabilisce che “il coniuge convivente di soggetto con handicap in situazione di gravità (…) ha diritto a fruire del congedo di cui al comma 2 dell'art. 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53, (…).

In caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie di patologie invalidanti del coniuge convivente, ha diritto a fruire del congedo il padre o la madre anche adottivi; in caso di decesso, mancanza o in presenza di patologie invalidanti del padre e della madre, anche adottivi, ha diritto a fruire del congedo uno dei figli conviventi; in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti dei figli conviventi, ha diritto a fruire del congedo uno dei fratelli o sorelle conviventi”. Per quanto attiene all'esatta interpretazione della suddetta disposizione, nella parte in cui si riferisce alle patologie invalidanti, appare utile richiamare quanto già chiarito dalle circolari dellaFunzione Pubblica n. 13/2010 e 1/2012 e dalla circolare INPS n. 28/2012. Dalla lettura delle menzionate note si evince che, per quanto concerne la nozione di patologie invalidanti, in presenza delle quali risulta possibile accordare il congedo, occorre attenersi alla casistica indicata dall'art. 2, comma 1, lett. d), del decreto interministeriale n. 278/2000.

Si può, pertanto, affermare che la legge consente l'ampliamento della platea dei familiari legittimati a fruire del congedo di cui all'art. 42, comma 5, solo in presenza di una delle situazioni individuate dal medesimo decreto, comprovate da idonea documentazione medica. Ciò in quanto si ritiene che i soggetti affetti da tali patologie non siano in grado di prestare un'adeguata assistenza alla persona in condizioni di handicap grave (cfr. circ. 1/2012, par. 3; circ. 28/2012, par. 1.1. citate). In base a quanto sopra è possibile dunque sostenere che il diritto a fruire dei congedi in questione possa essere goduto da un soggetto diverso dal precedente “titolare” solo in ragione delle ipotesi tassativamente indicate dal Legislatore, fra le quali rientra quella legata alla presenza di “patologie invalidanti”. In tal senso, pertanto, l'età avanzata del titolare del diritto non costituisce un requisito sufficiente per legittimare il godimento del congedo da parte di altri soggetti titolati. Tale orientamento è del resto confermato dalla circostanza secondo cui, laddove il Legislatore ha inteso individuare il requisito anagrafico quale elemento utile al riconoscimento del diritto alla fruizione di permessi per assistere disabili, lo ha fatto espressamente.

In tal senso è possibile richiamare l'art. 33 della L. n.104/1992 – da ultimo modificato dall'art. 24, L. n. 183/2010 – che assegna il diritto a fruire dei 3 giorni di permesso mensile in primo luogo al “lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado”, per individuare solo in un secondomomento il terzo grado di parentela qualora, tra l'altro, “i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età (…)”.

Dallo Studio legale Scognamiglio /Manzoni
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Data: 23/01/2013 10:30:00
Autore: Prof. Raffaele Manzoni