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Libertà di riunione, manifestazione del dissenso ed ordine pubblico



Affrontiamo il tema del contemperamento della libertà di riunione e manifestazione del pensiero con la necessità di grarantire la pacifica convivenza e l'ordine pubblico.Tale tematica, analizzando gli strumenti previsti dal T.U.L.P.S., verrà analizzata nel corso delle lezioni del corso di preparazione al concorso per 80 posti da commissario di polizia organizzato da Justowin.

Manifestazioni e cortei di protesta rappresentano una delle modalità di esercizio di fondamentali diritti costituzionali, quali il diritto di riunione e il diritto di manifestazione del pensiero. Manifestazioni possono essere organizzate allo scopo di esprimere dissenso contro determinati aspetti della società, contro talune scelte degli organi politici, ma altresì contro le politiche adottate da un'impresa in merito all'organizzazione del lavoro; ancora, una manifestazione può perseguire lo scopo di esprimere solidarietà a qualcuno oppure quello di sostenere una determinata iniziativa. In ogni caso, quel che è certo è che esse rappresentano un importante strumento di democrazia, attraverso il quale i cittadini hanno la possibilità di attribuire maggiore risonanza alle loro idee.
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Nell'ottica degli obiettivi di questo lavoro, quel che interessa è l'analisi della libertà di riunione e delle sue possibili limitazioni in nome della sicurezza collettiva e della tutela dell'ordine pubblico, data la possibilità che una manifestazione possa assumere connotazioni violente. Dopo una generale trattazione della disposizione costituzionale, ci soffermeremo quindi sulle norme contenute nel Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza1 al fine di individuare quali sono i presupposti e i confini del potere di limitare l'esercizio della libertà di cui all'art. 17 Costituzione.
2. La libertà di riunione nella Costituzione
Art. 17 Costituzione
«I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso.
Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.»
La libertà di riunione, intesa da autorevole dottrina e giurisprudenza come una «libertà strumentale» diretta a consentire l'esercizio di altri diritti, rappresenta un'attuazione di quel principio fondamentale che impone di tutelare il singolo quale parte di una formazione sociale: in particolare, ai fini dell'applicazione dell'art. 17, una riunione è da ritenersi sussistente allorquando una pluralità di persone sia presente in uno stesso luogo, per perseguire una finalità comune.
Come visto, nel disciplinare la libertà di riunione, la Carta Costituzionale effettua una distinzione tra riunioni in luogo aperto al pubblico e riunioni in luogo pubblico, prevedendo solo in ordine a queste ultime un obbligo di preavviso alle Autorità in capo ai promotori. Secondo autorevole dottrina, supportata da altrettanta giurisprudenza, peraltro, l'obbligo di preavviso sussisterebbe solamente a fronte di quelle riunioni in luogo pubblico potenzialmente idonee ad incidere sui diritti dei terzi, in quanto è nella tutela del diritto del terzo che deve rinvenirsi la ratio del preavviso stesso. A ben vedere, inoltre, il preavviso svolge altresì un'altra funzione, ossia quella di consentire alla riunione di godere «della protezione della pubblica autorità e a farla preferire a manifestazioni successivamente preavvisate, da tenersi nello stesso luogo».
L'assenza di preavviso è produttiva di talune conseguenze previste dall'art. 18 T.U.L.P.S.. Innanzitutto, la norma prevede che i promotori siano «puniti con l'arresto fino a sei mesi e con l'ammenda da € 103 a € 413» e che alla stessa pena soggiacciano «coloro che […] prendono la parola», qualora questi siano a conoscenza della violazione dell'obbligo di preavviso. Inoltre, a fronte di mancato preavviso, il Questore ha il potere di vietare lo svolgimento della riunione, con conseguente configurabilità del reato contravvenzionale di cui al comma 5 della norma a carico di quei soggetti non rispettanti il predetto divieto8. Sulla possibilità di sciogliere la riunione non preavvisata, si veda più avanti il paragrafo dedicato alle disposizioni del T.U.L.P.S..
3. Le limitazioni alla libertà di riunione
Nel nostro ordinamento, l'esercizio della libertà di riunione può subire limitazioni non solamente in applicazione delle norme contenute nel T.U.L.P.S. ma altresì per espressa previsione costituzionale. In ogni caso, è bene notare che la ratio che, da un punto di vista generale, sottende qualsivoglia limitazione deve rinvenirsi nella necessità di evitare un turbamento dell'ordine pubblico, da intendersi qui come «ordine pubblico materiale», ossia come una condizione di pace e sicurezza caratterizzata dalla «assenza di violenza fisica»
Le limitazioni costituzionali
Già dalla lettura dell'art. 17 comma 1 Costituzione si ricava un primo limite all'esercizio del diritto del riunione, da individuarsi nella necessità che la riunione si svolga «pacificamente e senz'armi».
In merito al primo aspetto, la dottrina è nel senso di ritenere che il carattere pacifico di una riunione debba essere valutato in base all'assenza di un pericolo attuale e concreto per l'ordine pubblico12.
Per quanto attiene, invece, al limite delle armi, il solo fatto del possesso di armi in capo a soggetti partecipanti alla riunione è da ritenersi un elemento potenzialmente lesivo dell'ordine pubblico13: in quest'ottica, lo scioglimento dovrebbe essere disposto senza dover attendere che si concreti una reale situazione di “disordine”. Degna di nota è, però, la posizione di autorevole dottrina, secondo la quale una riunione dovrebbe essere considerata contraria al disposto di cui al comma 1 dell'art. 17 Costituzione solo qualora la molteplicità dei manifestanti condivida la partecipazione di persone armate oppure qualora non sia possibile intervenire sui singoli: conseguentemente, solo al di fuori di queste specifiche ipotesi, la riunione potrà essere destinataria di un ordine di scioglimento, data la sua contrarietà alla norma costituzionale.
Maggiore attenzione va qui dedicata al disposto del comma 3 della norma in esame, nella parte in cui attribuisce all'autorità il potere di vietare lo svolgimento di una riunione preavvisata in luogo pubblico per «comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica». Sul punto, autorevole dottrina è ferma nel sostenere che l'esercizio di tale potere debba essere subordinato ad un'attenta valutazione della situazione concreta, non potendosi vietare a priori una manifestazione o una riunione per il solo fatto della sua organizzazione: data la circostanza che ogni riunione è di per sé fonte di possibile pericolo per l'ordine pubblico, allora può essere imposto un divieto al suo svolgimento solo allorquando sussista un'elevata probabilità di effettivo turbamento dello stesso.
3.2. Le disposizioni del T.U.L.P.S.
Come visto, la dottrina è nel senso di ritenere che una riunione preavvisata possa essere vietata qualora sussistano circostanze di fatto che rendano probabile il verificarsi di eventi turbativi dell'ordine pubblico.
Il tema in esame risulta strettamente correlato con l'analisi dell'art. 2 T.U.L.P.S., ai sensi del quale «il prefetto, nel caso di urgenza o per grave necessità pubblica, ha facoltà di adottare i provvedimenti indispensabili per la tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica»: in particolare, tale norma assume rilevanza in questo lavoro in quanto non è raro che, a fronte di eventi di spessore nazionale, venga emessa in sua applicazione un'ordinanza prefettizia limitativa di taluni diritti costituzionali, tra i quali il diritto di circolazione e il diritto di riunione.
In questo senso, emblematica è l'ordinanza 288/D.P. del 2 giugno 200117, emessa dal Prefetto di Genova a fronte dello svolgimento del vertice G8 e contemplante, tra le altre, limitazioni preventive dello svolgimento di manifestazioni pubbliche in aree determinate18. La problematica della legittimità di un'ordinanza di tal tipo è stata oggetto di valutazione da parte dei giudici amministrativi, a causa del ricorso presentato contro l'ordinanza stessa da parte di associazioni e semplici cittadini19: in particolare, alla luce di tali decisioni e delle critiche dottrinali sviluppatesi, è possibile individuare le principali questioni controverse in merito alle ordinanze pronunciate ex art. 2.
Il T.A.R. della Liguria e il Consiglio di Stato sono stati concordi nell'affermare la legittimità dell'ordinanza del Prefetto, in virtù della circostanza che essa risultava incidere su diritti costituzionali coperti da una riserva di legge relativa e che non determinava un'eliminazione o una sospensione degli stessi, ma ne introduceva solamente determinate modalità di esercizio.
Per quanto attiene al profilo dell'incidenza su diritti costituzionali, le pronunce in esame hanno fondato la loro valutazione su una sentenza della Corte Costituzionale, la quale, nel pronunciarsi sulla legittimità dell'art. 2, ha affermato che nelle materie coperte da una riserva di legge relativa «nulla vieta che […] una disposizione di legge ordinaria conferisca al Prefetto il potere di emettere ordinanze di necessità ed urgenza, ma occorre che risultino adeguati limiti all'esercizio di tale potere»; i giudici hanno altresì effettuato un richiamo a consolidata giurisprudenza, secondo la quale, in presenza di una riserva relativa, le ordinanze possono avere ad oggetto anche «diritti costituzionalmente garantiti».
Le citate sentenze amministrative sono state accolte con sfavore dalla dottrina, la quale risulta pressoché unanime nel ritenere che un'ordinanza fondata in via esclusiva sull'art. 2 non possa incidere su diritti costituzionali, seppur coperti da una riserva relativa, e che, in ogni caso, l'esercizio del diritto di riunione non possa essere mai oggetto di una limitazione preventiva.
Sul primo punto, la dottrina è concorde nel qualificare l'art. 2 T.U.L.P.S come una norma di per sé inidonea a legittimare un'ordinanza in tema di diritti costituzionali, in virtù della circostanza che con essa il legislatore si è limitato ad individuare la competenza in capo ad un determinato organo, senza però specificare le condizioni che ne devono accompagnare l'esercizio: in quest'ottica, è pacifico affermare che, per poter incidere su diritti costituzionali, l'ordinanza prefettizia deve essere emanata «nel solco di una disciplina di principio rinvenibile nella legislazione primaria, non essendo a tal fine sufficiente una norma […] che si limita ad attribuire una competenza».
Più precisamente, in ordine al diritto di riunione, taluna dottrina è nel senso di ritenere che l'art. 17 Costituzione contempli una riserva relativa di legge solamente ai fini della determinazione della disciplina del preavviso e che, per contro, non sia configurabile alcun rinvio alla legge in merito alle limitazioni dell'esercizio del diritto. In quest'ottica e sulla base della già espressa considerazione secondo la quale è necessario valutare le circostanze di fatto che accompagnerebbero lo svolgimento della singola riunione al fine di poter imporre il divieto di cui al comma 3, è chiara questa posizione dottrinale che tende a sostenere l'illegittimità di qualsiasi atto di natura amministrativa che vieti in via preventiva tutte le riunioni e le manifestazioni in una determinata zona, in quanto consistente in una vera e propria sospensione di un diritto costituzionale.
Il T.U.L.P.S. contempla ulteriori disposizioni in tema di riunioni in luogo pubblico, dirette a consentirne lo scioglimento in presenza di determinate condizioni. In particolare, è l'art. 20 ad individuare taluni dei presupposti in sussistenza dei quali l'autorità pubblica è dotata del potere di disciogliere una riunione in corso:
Art. 20 T.U.L.P.S.
«Quando, in occasione di riunioni o di assembramenti in luogo pubblico, o aperto al pubblico, avvengono manifestazioni o grida sediziose o lesive del prestigio dell'autorità, o che comunque possono mettere in pericolo l'ordine pubblico o la sicurezza dei cittadini, ovvero quando nelle riunioni o negli assembramenti predetti sono commessi delitti, le riunioni e gli assembramenti possono essere disciolti.»
Per quel che attiene al carattere sedizioso della riunione, fermo restando il disposto di cui all'art. 2127, la Corte Costituzionale, nel pronunciarsi sulla legittimità costituzionale degli artt. 654, 655 codicepenale, ha qualificato come sedizioso quell' «atteggiamento […] che implica ribellione, ostilità, eccitazione al sovvertimento delle pubbliche istituzioni […]». In senso analogo si pone autorevole dottrina, sostenendo che «perché il comportamento della folla possa essere definito sedizioso, è sufficiente che esprima ribellione, sfida e insofferenza verso i pubblici poteri e verso gli organi dello Stato a cui è demandato il compito di esercitarli, che determini turbamento alla pacifica convivenza e alla pubblica tranquillità».
In merito alla commissione di delitti, la dottrina applica qui il medesimo criterio utilizzato in presenza di persone armate: si sostiene, infatti, che la commissione di delitti durante lo svolgimento di una riunione possa essere causa di scioglimento della stessa solo allorché gli stessi possano «essere riferiti all'insieme dei convenuti che non solo non si dissociano dai rei, ma che anzi ne condividono il loro operato».
In merito al già citato problema dell'omesso preavviso, è necessario ora comprendere se lo svolgimento della riunione in palese violazione del divieto del Questore di cui all'art. 18 T.U.L.P.S. possa essere, di per sé, motivo di scioglimento della stessa. Sul punto, la dottrina sembra concorde nel qualificare come insufficiente il predetto elemento, per un duplice ordine di ragioni: da un lato, infatti, il mancato rispetto del divieto integra gli estremi di un reato di natura contravvenzionale, e non di un delitto ex art. 20 T.U.L.P.S.; d'altro lato, si ritiene che lo scioglimento possa essere disposto solo a fronte di un concreto pericolo per l'ordine pubblico oppure qualora non sia rispettato, nei termini sopraindicati, il dettato costituzionale di cui al comma 1 dell'art. 17 Costituzione.
Specificate le ragioni che possono essere alla base di un ordine di scioglimento, è opportuno segnalare che il T.U.L.P.S. individua precise modalità attraverso le quali tale potere deve essere esercitato. In particolare, si stabilisce che, prima di poter procedere allo scioglimento mediante l'uso della forza, è necessario innanzitutto invitare i partecipanti a sciogliere la riunione; in caso di inosservanza all'invito, si può procedere all'ordine di scioglimento con tre intimazioni di natura formale. Infine, solamente qualora tali intimazioni non abbiano effetto, le autorità possono procedere all'esecuzione dell'ordine attraverso il ricorso alla forza pubblica: ai fini della legittimità dell'ordine di cui all'art. 24, è necessario che esso sia impartito da soggetti determinati, individuabili negli Ufficiali di P.S. oppure, in loro assenza, negli Ufficiali o Sottufficiali dei Carabinieri. Quest'ultima specificazione si ritiene opportuna, in quanto, come vedremo in una parte successiva di questo lavoro, non sono mancati casi in cui un ordine di scioglimento è stato ritenuto illegittimo, tra gli altri motivi, proprio per l'incompetenza del soggetto che lo aveva disposto.

Data: 23/03/2013 09:29:00
Autore: Justowin