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Il recesso dal contratto di subfornitura

Il settore della subfornitura in Italia è regolato dalle disposizioni normative introdotte dalla legge 192/1998


Avv. Niccolò Brignoli - Il settore della subfornitura in Italia è regolato dalle disposizioni normative introdotte dalla legge 192/1998. La legge è stata approvata il 18 giugno 1998, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 143 del 22 giugno 1998 e parzialmente modificata dalle Disposizioni in materia di apertura e regolazione dei mercati introdotte con la legge 57 del 2001.

Nell'assenza di una previsione normativa in merito all'applicazione temporale di tale disciplina specifica, la giurisprudenza ha affermato che: “la legge sulla subfornitura industriale non trova applicazione rispetto a contratti conclusi prima dell'entrata in vigore della legge stessa e predeterminati nel loro svolgimento temporale” (Tribunale Taranto, 22 marzo 1999).

La legge (art. 1) definisce il contratto di subfornitura come quello con cui “un imprenditore si impegna a effettuare per conto di una impresa committente lavorazioni su prodotti semilavorati o su materie prime forniti dalla committente medesima, o si impegna a fornire all'impresa prodotti o servizi destinati ad essere incorporati o comunque ad essere utilizzati nell'ambito dell'attività economica del committente o nella produzione di un bene complesso, in conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli o prototipi forniti dall'impresa committente”.

In relazione all'ambito di applicazione della legge, la giurisprudenza ha statuito che: “Si ha subfornitura ai sensi dell'art. 1 l. n. 192 del 1998 qualora un imprenditore (committente) isoli una (o più) delle fasi in cui si articola il processo produttivo – fasi che, comunque, potrebbe esso stesso svolgere direttamente con una diversa organizzazione della produzione, impiegando risorse (materia prime, macchinari e personale) proprie – per affidarla all'esterno, ad altro imprenditore, il quale, nell'eseguire la prestazione, dovrà attenersi alle indispensabili direttive di carattere tecnico impartite dal committente” (Tribunale Civitavecchia, 05 aprile 2006).

La disciplina normativa in esame prevede (art. 2) che il rapporto di subfornitura si instauri con un contratto da stipularsi in forma scritta a pena di nullità (ritenendo a tal fine idonea anche una comunicazione del consenso a mezzo fax o altra via telematica), in cui siano previsti: “i requisiti specifici del bene o del servizio richiesti dal committente”; “il prezzo pattuito” ed “i termini e le modalità di consegna, di collaudo e di pagamento”.

La giurisprudenza in materia ha peraltro affermato il principio, secondo cui, “La questione della disciplina applicabile appartiene non al piano del fatto, ma a quello della qualificazione: il giudice non può mutare le clausole contrattuali (in quanto inerenti al piano del fatto), ma deve conferire attuazione all'ordinamento giuridico, sia qualificando il rapporto giuridico, ed applicando così la normativa consequenziale alla qualificazione operata, sia integrando il contratto in applicazione della disciplina indisponibile per le parti; ove dunque ricorrano i presupposti di fatto della normativa invocata dalla parte attrice, il giudice la deve applicare, dovendosi intendere tale normativa operante fin dal momento della conclusione dell'accordo negoziale” (Tribunale Bari, sez. II, 13 luglio 2006 , n. 1947).

Si ritiene pertanto che, pur nell'assenza di contratti sottoscritti tra due società, le specifiche previsioni della legge 192/1998 possano trovare applicazione nel caso concreto.

Per quanto attiene alle modalità del recesso dai rapporti in essere con i subfornitori, deve farsi in primo luogo riferimento al disposto dell'art. 6 della legge de quo, che dichiara “nullo il patto che attribuisca ad una delle parti di un contratto di subfornitura ad esecuzione continuata o periodica la facoltà di recesso senza congruo preavviso”; ed in secondo luogo, al successivo art. 9, che vieta ad un'impresa di abusare dello stato di dipendenza economica nel quale si trovi una società sua fornitrice (definendo come “dipendenza economica” la situazione in cui “una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un'altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi”). Elaborando tali concetti, la giurisprudenza in materia ha pertanto affermato il principio che il recesso del committente deve corrispondere ad un suo apprezzabile interesse economico e che lo stesso non deve essere esercitato arbitrariamente o finalizzato a danneggiare il subfornitore (si consideri tra le tante, Tribunale di Torre Annunziata, sentenza 30 marzo 2007: “In caso di condizione di dipendenza economica, un recesso "ad nutum" con preavviso di due mesi contestuale alla imposizione di determinate strategie appare, nei limiti della sommarietà della cognizione cautelare, determinare un ingiustificato squilibrio negli obblighi e nei rischi di impresa specifici. Posto che l'impresa dominante può rifiutarsi di contrarre o di interrompere le relazioni commerciali, tale azione deve corrispondere ad un apprezzabile interesse economico dell'impresa dominante. L'interruzione può anche avvenire per mutamento delle strategie di espansione commerciale, per la variazione di prodotto, per la necessità di adeguamento dei livelli qualitativi dei prodotti. Ciò che in sostanza risulta determinante è che l'interruzione del rapporto commerciale o il rifiuto di instaurazione non sia arbitrario o finalizzato a danneggiare commercialmente l'impresa in condizioni di dipendenza economica. Non è possibile stabilire in astratto quali possano essere le valide clausole di recesso nei contratti delle imprese in condizioni di dipendenza economica; tuttavia, bisogna verificare che, in concreto, la sua previsione nel contratto e l'esercizio del recesso siano collegati o meno ad un interesse meritevole di tutela o costituiscano il mero estrinsecarsi del rapporto di dominanza economica”).

L'interruzione da parte di un'impresa delle relazioni commerciali in essere con i subfornitori, non potrà pertanto prescindere dal rispetto di un termine di preavviso e da una motivazione specifica delle ragioni per le quali la società non ritiene più opportuna la prosecuzione dei predetti rapporti; a seconda della fondatezza, della gravità e della stessa tipologia delle motivazioni che verranno addotte, è poi ovvio che potrà reputarsi “congruo” un termine di preavviso più o meno lungo. Riguardo la quantificazione del preavviso, si rileva che non esiste una elencazione tassativa della durata di siffatto termine, né è agevole ricostruire una casistica concreta basata sulle pronunce giurisprudenziali, tuttavia, dagli orientamenti espressi dalla dottrina e dalla giurisprudenza in materia può affermarsi che l'ampiezza di siffatto termine dipende dalle seguenti circostanze: a) dipendenza economica del subfornitore rispetto al committente, da valutarsi in base all'incidenza del fatturato prodotto dal subfornitore nei confronti del committente in relazione al turnover complessivo del subfornitore; b) durata dei rapporti commerciali in essere tra committente e subfornitore (la disdetta di un contratto a tempo indeterminato eseguito in via continuativa richiederà un termine maggiore rispetto ad un contratto a tempo determinato con scadenza annuale); c) esistenza e/o ammontare degli investimenti effettuati dal subfornitore per soddisfare specificatamente le esigenze del committente; d) modellazione dell'attività del subfornitore su quella del committente; e) facilità per il subfornitore di reperire nuove commesse alternative; f) aspettative generate dal committente in capo al subfornitore sulla durata del rapporto; g) prassi d'uso nel settore di riferimento. Per quanto concerne le conseguenze di un eventuale recesso arbitrario e/o con efficacia immediata da parte del Fornitore, si evidenzia che la giurisprudenza ha ritenuto ammissibile la proposizione da parte del subfornitore di un ricorso cautelare in via d'urgenza ai sensi dell'art. 700 c.p.c., volto alla inibizione della prosecuzione delle attività del committente successive al recesso (Tribunale di Roma, sentenza 5 novembre 2003).
Avv. Niccolò Brignoli
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Data: 31/07/2011 08:50:00
Autore: Niccolò Brignoli