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Diritto di ritenzione

Il diritto di ritenzione consente al creditore a trattenere la res fintantoché il suo diritto non verrà soddisfatto


Diritto di ritenzione: disciplina

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Il diritto di ritenzione trova la sua fonte di disciplina nell'articolo 2756 c.c., che testualmente dispone, al I e al III comma, che "i crediti per le prestazioni e le spese relative alla conservazione o al miglioramento di beni mobili hanno privilegio sui beni stessi, purché questi si trovino ancora presso chi ha fatto le prestazioni o le spese" e che "il creditore può ritenere la cosa soggetta al privilegio finché non è soddisfatto del suo credito e può anche venderla secondo le norme stabilite per la vendita del pegno ".

Laddove pertanto il creditore abbia eseguito prestazioni sulla res volte alla conservazione e al miglioramento della stessa, egli vanta un credito di natura privilegiata sul bene stesso e può ritenere la cosa fino al momento in cui il credito non viene soddisfatto.

Il diritto di ritenzione presuppone dunque la detenzione della cosa da parte del creditore, la quale è iniziata con il consenso del debitore. Trattasi di un diritto accessorio poiché sorge contestualmente al generarsi del credito (il quale deve essere certo, liquido ed esigibile) ed indivisibile (poiché può venir meno solo a saldo totale del debito, non parziale).

I casi in cui tale diritto è esercitabile sono espressamente elencati dal legislatore, con la conseguenza che è fatto divieto di applicazione di tale norma per analogia. Se non si fosse adottata questa cautela la norma avrebbe finito per legittimare un comportamento molto vicino al "farsi giustizia da sè".

Diritto di ritenzione e appropriazione indebita

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Il diritto di ritenzione, coma abbiamo appena visto, può essere esercitato solo nei casi indicati dalla legge.

Si tratta di un limite molto importante, in quanto il creditore, laddove trattenga il bene altrui al di fuori dei casi consentiti, può commettere il reato di appropriazione indebita ex art. 646 c.p., punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da mille a tremila euro.

Si integrerebbe inoltre il reato di appropriazione indebita in tutti quei casi in cui il creditore, pur trovandosi in una delle situazioni previste dalla legge, mutasse la propria concezione soggettiva di potere sulla cosa da semplice detenzione in proprietà (c.d. interversione). Tale condizione si verifica quando il comportamento del creditore sconfina oltre la semplice detenzione in garanzia e cioè quando egli compie sulla cosa atti di disposizione tipicamente esercitati dal proprietario.

Tale concetto è stato ribadito e ampliato anche dalla Cassazione nella sentenza n. 45298/2017: "In punto di diritto, il consolidato ed indiscusso principio che da sempre è affermato in giurisprudenza è che l'appropriazione indebita si verifica nel momento in cui il detentore attua la c.d. interversione del possesso che consiste nell'attuare sul bene di proprietà altrui atti di disposizione uti dominus e, quindi, nell'intenzione di convertire il possesso in proprietà (...) la giurisprudenza di questa Corte ha ulteriormente specificato che: anche la semplice ritenzione del bene, quando origini da una lite civile in cui ognuno dei contendenti fa valere le proprie ragioni nei confronti dell'altro, non costituisce, di per sè, un indice sicuro della volontà di intervertire il possesso e cioè un comportamento utí dominus, potendo, al più, essere qualificato come un mero inadempimento come tale solo civilisticamente sanzionabile: Cass. 29/1965; Cass. 9410/1981 (L'omessa restituzione della cosa non realizza l'ipotesi del reato di cui all'art. 646 c.p., se non quando si ricollega oggettivamente ad un atto di disposizione uti dominus, e soggettivamente alla intenzione di convertire il possesso in proprietà); Cass. 10774/2002; Cass. 17295/2011 (Sez. II, 26/02/2014 n.12740)."

Vai alla guida Il reato di appropriazione indebita

Ritenzione del bene di un terzo

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Il creditore inoltre, ai sensi del comma 2 del medesimo articolo 2756 c.c., può esercitare il diritto di ritenzione anche sulla cosa di proprietà di un soggetto diverso da colui che gli ha chiesto la prestazione, laddove lo stesso ignori, in buona fede, che la cosa non era di proprietà di quest'ultimo.

Ricorrendo questo presupposto, il prestatore d'opera può trattenere la cosa fino al pagamento del corrispettivo, anche in pregiudizio del proprietario e sebbene questi non abbia stipulato alcun contratto.

Tale diritto di ritenzione può essere esercitato anche laddove il creditore, pur conoscendo il fatto che la res non era di proprietà del soggetto che gli ha richiesto la prestazione, abbia ignorato il difetto di capacità di quest'ultimo di affidare la cosa per la conservazione o per il miglioramento della stessa (sul punto ex multis Tribunale Livorno, 07/04/2016, n.461, Cassazione civile sez. III, 22/06/2009, n.14533).

Diritto di ritenzione: le varie fattispecie

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Il codice civile comunque, oltre alla fattispecie di cui all'art. 2756 c.c., prevede altre ipotesi specifiche in cui può essere esercitato il diritto di ritenzione.

Ai sensi dell'articolo 2761 c.c. il diritto di ritenzione è esteso ai seguenti tipi di contratto:

Si applicano a questi privilegi le disposizioni del secondo e del terzo comma dell'articolo 2756" che prevede appunto il diritto di ritenzione (disposizione questa modificata dall'art. 30-bis, comma 1, lettera e), del D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233.)

Possiamo poi citare anche:

Data: 22/07/2022 05:00:00
Autore: Annamaria Villafrate