La tormentata 'carriera' dell'anatocismo bancario
La disciplina codicistica prevede una norma ritenuta imperativa, l'art. 1283 c.c., che, per le finalità di ordine pubblico ed economico perseguite, vieta il fenomeno della cd. produzione degli interessi sugli interessi che, rischiando di produrre una moltiplicazione incontrollabile dell'esposizione debitoria, potrebbe creare fenomeni sostanzialmente usurari.
L'art. 1283 del codice civile ammette solo due eccezioni al divieto di interessi anatocistici : l'anatocismo convenzionale e l'anatocismo legale.
L'anatocismo è convenzionale o negoziale quando le parti pattuiscono, espressamente, nuovi interessi solo alla scadenza degli interessi; l'anatocismo è legale o giudiziale quando scaturisce dalla presentazione di una domanda giudiziale, è diretta alla restituzione degli interessi, dovuti alla scadenza stabilita o da almeno sei mesi; l'anatocismo usuale è atipico e deroga ai limiti imposti dalla legge nei casi precedenti.
Nella prassi, nonostante il divieto sancito dall'art. 1283 c.c., gli istituti bancari continuano ad applicare la capitalizzazione trimestrali degli interessi bancari sui conti a debito; in pratica al cliente vengono addebitati gli interessi a debito trimestralmente e con capitalizzazione composta ovvero gli interessi addebitati entrava a far parte del saldo a debito su cui vengono applicati gli interessi alla fine del trimestre successivo.
Nel 1999 la Corte di Cassazione con la sentenza n°2374, per la prima volta, condanna la pratica anatocistica, stabilendo che gli interessi scaduti non possono produrre altri interessi ogni trimestre poichè non esiste un uso normativo che autorizzi gli istituti bancari ad applicare il c.d. anatocismo al di fuori dei limiti imposti dalla legge.
Il Legislatore, con il d.lgs n°342/99, introduce una quarta forma di anatocismo, quello bancario, stabilendo all'art. 120 del Testo unico che si ritiene ammissibile, in deroga a quanto sancito dall'art 1283 c.c., l'applicazione degli interessi sugli interessi trimestralmente, purchè ciò avvenga sia sul saldo attivo che sul saldo passivo. Nel medesimo decreto viene prevista anche una disciplina transitoria per i rapporti bancari nati in precedenza prevedendo la validità e l'efficacia delle clausole anatocistiche fino a quel momento applicate dagli istituti di credito.
Tale previsione tuttavia non supera il vaglio di legittimità in quanto la Corte Costituzionale con sentenza n°425 del 17/10/2000, ne afferma l'illegittimità per eccesso di delega.
Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite della Cassazione che, con la pronuncia n. 21095 del 2004, precisano che la prassi bancaria consistente nella previsione di clausole, accessorie ai contratti di conto corrente, di capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito, deve considerarsi uso negoziale o pattizio e non normativo, quindi non idoneo a derogare al meccanismo impositivo di cui all'art. 1283 c.c. e che ogni qualvolta al correntista è imposta una siffatta clausola, essa deve ritenersi nulla e tutte le somme precedentemente riscosse dall'istituto di credito devono, per la regola della ripetizione dell'indebito, essere restituite.
Nel 2011 la Corte di Cassazione sez. III civile, con sentenza n°9695 ribadisce l'illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi di conto corrente bancario passivi per il cliente, se prevista da clausole anatocistiche stipulate prima del D. Lgs n°342/99 e della delibera del CICR prevista dall'art. 25 comma 2 di tale decreto.
In merito al termine di prescrizione dell'azione restitutoria lo stesso è senz'altro quello ordinario decennale. Le azioni di ripetizione, infatti, non sono soggette al regime di imprescrittibilità tipico della nullità dalla quale derivano. Nè risulta applicabile la prescrizione breve prevista dall'art. 2947 c.c. che presuppone un fatto illecito che non ricorre nel caso in esame, tantomeno quella di cui all'art. 2948 n°4 c.c. che concerne la riscossione di interessi mentre nella fattispecie si richiede la restituzione dell'indebito.
Per quanto riguarda il dies a quo della prescrizione, il contrasto interpretativo si è concluso dapprima con l'intervento delle Sezioni Unite e successivamente del legislatore cui ha fatto seguito l'intervento della Corte Costituzionale.
La Corte di Cassazione afferma che il dies a quo coincide con la definitiva chiusura del conto corrente, escludendo che inizi a decorrere dalla sentenza di nullità, essendo quest'ultima meramente dichiarative e non necessaria ai fini dell'actio indebiti. Tanto meno lo stesso decorre dal momento in cui la banca effettua i singoli addebiti essendo il contratto di conto corrente bancario di tipo unitario e dando vita lo stesso ad un unico rapporto; solo a chiusura del conto le poste attive e passive diventano definitive e sorge il credito e, pertanto, da tale momento nasce l'interesse ad agire per la ripetizione. Le Sezioni unite della Corte di Cassazione, con sentenza n°24418 del 2/12/2010, chiariscono che il termine di prescrizione decennale dell'actio indebiti decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in cui sia stato estinto il saldo di chiusura del conto, e non dalle singole poste di debito.
La questione viene solo apparentemente risolta poiché il legislatore è nuovamente intervenuto con il D.L. 29/12/2010, n° 225, convertito nella legge 26/02/2011, n°10, il cui articolo 2 comma 61 dispone che in ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente, l'art. 2935 c.c. si interpreta nel senso che la prescrizione dei diritti nascenti dalla annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa. Tale norma, operando un' equivalenza tra annotazione ed effettivo pagamento, colloca il dies a quo della prescrizione nel momento dell'annotazione in conto e non più in quello di chiusura del rapporto, con evidente vantaggio degli istituti di credito.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n°78 del 02/04/2012, dichiara l'incostituzionalità del comma 61 sopra riportato, in quanto - facendo retroagire la disciplina - non rispettava il principio costituzionale di eguaglianza e ragionevolezza delle norme.
Con la sentenza n.798 del 15 gennaio 2013 la sez. III civile della Corte di Cassazione torna nuovamente sull'argomento.
Aderendo all'orientamento che ad oggi può dirsi prevalente, a seguito dell'intervento chiarificatore delle Sezioni Unite con la pronuncia del 2 dicembre 2010 n. 24418, la Corte, dopo aver riaffermato che l'azione di ripetizione di indebito degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente è soggetta all'ordinaria prescrizione decennale, fa riferimento alla distinzione tra atti ripristinatori della provvista ed atti di pagamento compiuti dal correntista per estinguere il proprio debito verso la banca, statuendo che l'annotazione in conto di una posta di interessi o di commissione di massimo scoperto, illegittimamente addebitati dalla banca al correntista, comporta un incremento del debito dello stesso correntista, o una riduzione dei credito di cui egli ancora dispone, ma in nessun modo si risolve in un pagamento, nel senso che non vi corrisponde alcuna attività solutoria nei termini sopra indicati in favore della banca.
Ne consegue che il correntista potrà agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell'addebito si basa, allo scopo eventualmente di recuperare una maggiore disponibilità di credito, nei limiti del fido accordatogli, ma non potrà agire por la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo. Di pagamento, nella descritta situazione, potrà dunque parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire se corrisposti dal cliente all'atto della chiusura del conto.
Autore: Avv. Assunta Giordano