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Sergio Marchionne: Chrysler & Fiat, due figli due misure.



Le parole del grande economista Adam Smith conservano inalterata la loro attualità e suonano come lungimiranti. Nella seconda metà del XVIII secolo, nel suo libro "La ricchezza delle Nazioni", il fondatore dell'economia politica liberale descrisse perfettamente i vantaggi che potevano conseguirsi attraverso la divisione del lavoro: in particolare, secondo Smith, la divisione del lavoro determina l'incremento della produttività e il risparmio di tempo unitamente alla meccanizzazione del processo produttivo genera economie di scala.

Il primo a far tesoro di quella grande lezione fu Henry Ford che organizzò la sua fabbrica di autovetture proprio nella direzione indicata da Smith, tanto che la Ford T rappresentò il primo prodotto industriale in senso stretto del XX secolo. Nessuno poteva aspettarsi che quasi un secolo più tardi una grande crisi avrebbe travolto l'industria americana. Nel 2008 la Chrysler era sull'orlo del fallimento: nel 2013 le vendite sono aumentate del 9% e l'anno appena concluso è il quarto anno consecutivo di crescita per la casa di Detroit. Fu del Presidente Obama l'idea di trovare un manager che accettasse l'incarico di risollevare le sorti dell'azienda automobilistica e di tutti i suoi dipendenti. Alla fine è stato Marchionne ad accettare la sfida. La sua premessa fu in partenza quella che la Fiat non avrebbe dovuto finanziare questa difficilissima operazione. Ma un prestito speciale fu organizzato dai governi congiunti di Stati Uniti e Canada. Erano comunque fondi che avrebbero dovuto essere destinati a supportare i lavoratori, futuri disoccupati. Ma la strategia più importante fu altra: Marchionne, Obama, i sindacati di settore e una rappresentanza diretta degli operai siglarono un accordo che prevedeva una completa rivisitazione del contratto di lavoro. Gli operai accettarono una notevole riduzione del loro stipendio, compensato però da un credito futuro sugli utili. Su questa base, l'intera squadra si rimboccò le maniche e riavviò il lavoro.

Ma facciamo un salto indietro. Nel 2007 i dipendenti della Merloni erano già da tempo in cassa integrazione. Neppure una potente delegazione cinese che fu invitata ad acquistare gli impianti si sentì in grado di risollevare un'impresa che da anni lavorava unicamente per riempire i magazzini di prodotti destinati a rimanere invenduti a causa di un prezzo di vendita ritenuto dal mercato decisamente eccessivo. Nello stesso momento si potevano osservare i parcheggi delle concessionarie stracolmi di autovetture Fiat invendute lungo tutto lo Stivale.

L'accordo del primo gennaio relativamente all'acquisto da parte della Fiat del 41% del capitale di Chrysler e che consente a Fiat di detenere la totalità del capitale della casa americana non può non suscitare qualche legittimo sospetto sul futuro della casa italiana.

Emblematico è il parallelismo tra il caso Merloni e la vicenda Fiat, con l'interrogativo conclusivo: cosa propongono i sindacati italiani?

Dott. Luigi Vitale

luigivitale02.wordpress.com

Si veda anche: http://www.linkiesta.it/marchionne-chrysler-sindacati



Data: 08/01/2014 17:15:00
Autore: Luigi Vitale