Dipendenza dalla rete: quando è vizio parziale di mente.
Trascorrere tante ore davanti al pc è abitudineormai assai diffusa soprattutto tra i più giovani.
Ma quando l'utilizzo smodato e incontrollato dellarete può essere indice di disagio e/o di una condizione patologica grave?
Ebbene, non molti anni fa (nello specificonell'anno 1995) uno psichiatra, docente della Colombia University di New York,Ivan Goldberg, coniava ed utilizzava per la prima volta il termine “dipendenzada Internet” o “Internet Addiction Disorder”, perindicare un'alterazione del comportamento che da semplice e comune abitudine,diventa ricerca esasperata e incontrollata, accompagnata da stati psichiciquali irritabilità, aggressività, nervosismo, disturbi del sonno, inappetenza omalnutrizione, alterazioni del vissuto temporale e della cognitività,totalmente indirizzata all'uso compulsivo del mezzo.
Si tratta, invero, di una dimensione assaicomplessa, comprensiva di vari fenomeni quali ad esempio la c.d. dipendenzacyber sessuale (o sesso virtuale), in cui i soggetti sono dediti allo scambiocontinuo e alla visione di materiale pornografico; la dipendenza cyberrelazionale ( o delle relazioni virtuali), in cui il soggetto si costruisce unarete di relazioni virtuali che vanno a sostituire totalmente i rapporti dellavita reale, causando problemi nell'ambito familiare e relazionale; il NetGaming, ossia la dipendenza dai giochi di rete che comprende anche il giocod'azzardo, l'acquisto compulsivo su aste online, l'utilizzo di casinò ondine,che portano alla perdita di ingenti quantità di denaro e di gran parte delleore del giorno e molto altro ancora (tratto da www.actroma.it).
E' un disturbo non ancora sufficientemente accertatoalmeno sotto il profilo clinico, ma una cosa è certa: l'alienazione dalla vitareale, alla quale si preferisce quella virtuale, è senza dubbio, determinataper l‘instaurarsi di una situazione patologica, alla quale fanno seguito deidisagi a livello psicologico, con una reazione a cascata sull'ambientefamiliare, relazionale, affettivo e lavorativo e, i cui segnali d'allarmeprincipale sono: il trascorrere di un'ingente quantità di tempo in rete, taleda perdere la cognizione della realtà esterna; l'irritabilità, aggressività einsofferenza nell'essere interrotti o quando non si ha a disposizione il web; lostato di euforia durante la navigazione; il desiderio di trascorrere ancora piùtempo online e negare, al contrario, di aver passato troppe ore al computer; latendenza ad utilizzare il computer anche in situazioni in cui il contesto nonlo permette; trascurare gli impegni della vita quotidiana (come lo studio, illavoro, l'igiene personale) e/o intrattenimenti di altro genere (tra cui leamicizie e altre relazioni); “crisi d'astinenza” caratterizzate da ansia,agitazione psicomotoria, movimenti volontari o automatici delle dita, sogni edossessioni riguardanti la rete. (tratto da www.actroma.it).
Ebbene,il fenomeno non ha risparmiato neanche la Cassazione, la quale si è recentemente pronunciata in materia, con la sentenza n. 1161 del 20 novembre 2013.
Lavicenda nasceva dall'imputazione a carico del ricorrente, per il reato di detenzione e divulgazione“di un ingente quantitativo di materiale pedopornografico, mediantel'inserimento di link, consentendo agli utenti internet non iscritti al sito diaccedere all'area riservata e di scaricare immagini e filmati, tutti dipornografia minorile”.
Accertatala condotta materiale posta in essere, lo stesso adduceva a sua giustificazione la “ dipendenza dal computer e da internet “derivanteda disagio esistenziale da cui si era liberato dopo aver conosciuto una donnache aveva sposato”. Tale stato veniva, peraltro, accertato dalla periziamedico-legale espletata sull'imputato e dalla quale emergeva che egli fosse affetto da “nevrosi depressiva-Internet Addiction Disorder, [la quale tuttavia], nonaveva alcuna incidenza sulla capacità di intendere e di volere.
Nellaspecie, -chiariva la perizia - “la dipendenza da Internet (con ricerca nellarete delle emozioni non trovate nella vita reale) non aveva alcuna incidenzasulle facoltà cognitive, ma solo su quelle volitive. Si trattava, in altreparole, di una “forma di condizionamento dei processi volitivi non derivante dauna patologia o da un disturbo conclamato chiaramente riconoscibile”.
Con sentenza delle Sezioni Unite del 25.01.2005, n. 9163, laCassazione ha ricordato che “anche i disturbi della personalità, che non sempre sonoinquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nelconcetto di infermità, purché però, siano di consistenza, intensità e gravitàtali da incidere sulla capacità di intendere o di volere, escludendola oscemandola grandemente e, a condizione che sussista un nesso eziologico con laspecifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato siaritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale”.
Nelcaso di specie, tuttavia, osserva la Corte - nessuna rilevanza può essereattribuita al richiamato “indirizzo ermeneutico -che attribuisce rilevanza aidisturbi della personalità-” laddove trattasi di turbamenti psichici e diincidenza sulle relative facoltà mentali, tutti privi del carattere di gravitàe, per l'effetto, nessuna rilevanza può essere riconosciuta all'asserita richiesta di accertamento del vizio parziale di mente (“Nel caso che ci occupail vizio di parziale di mente non può essere riconosciuto non già perché ildisturbo di cui avrebbe sofferto D. non è stato ancora compiutamenteclassificato, ma piuttosto perché l'incidenza dei turbamenti psichici sullefacoltà mentali dell'imputato è priva dei prescritti connotati di gravità”).
Per tali motivi, rigetta il ricorso e condanna l'imputato al pagamento delle spese processuali.
Data: 29/01/2014 10:00:00Autore: Sabrina Caporale