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Sospetto o notizia criminis? La pronuncia della Cassazione.



Corte di Cassazione,Sezione VI Penale, sentenza 6 febbraio – 13 marzo 2014, n. 12021.

Rinviati a giudizio per rispondere del reato di cuiall'art. 361 c.p. perché, essendo a conoscenza in ragionedel loro ufficio e nell'esercizio delle loro funzioni di pubblici ufficiali, diuna notizia di reato, concordavano di omettere di darne doverosa comunicazioneall'autorità giudiziaria.

Giunta pronuncia di proscioglimento per insussistenza del fatto, proponevaricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la competente Corte di appello, ivi deducendo difetto di motivazione ed erronea applicazione dell'art. 361c.p.. Quest'ultimo, nella specie, contestava cheil pubblico ufficiale che abbia conoscenza di una notizia di reato a causa e nell'eserciziodelle sue funzioni, possa valutare l'effettiva sussistenza giuridica del reato,restandogli esclusivamente la verifica della probabilità della sussistenza delreato stesso; soltanto all'autorità giudiziaria compete, infatti,l'accertamento della notitia criminis. Nel caso di specie, in effetti, gli imputati,appreso il fatto, “avendo certamente apprezzato la probabilità dell'esistenzadel reato, quanto meno, sotto il profilo del peculato d' uso, erano tenuti adinformare del fatto l'autorità giudiziaria”.

La pronuncia della Cassazione.

Il ricorso è infondato. Occorre, innanzitutto premettere «che lafattispecie di reato contestata agli imputati va interpretata in consonanza conil disposto dell'art. 331, comma 1, c.p.p. (un precetto collocato nel titolo IIdel libro V, intitolato, appunto, "Notizia di reato") a norma delquale "i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio chenell'esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notiziadi un reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anchese non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito"; lanorma in parola è collocata immediatamente dopo quella regolatrice del regimedell'acquisizione delle notizie di reato. Ciò non sta a significare che l'art.361 c.p. costituisca una norma in bianco. Il suo contenuto precettivo appare,infatti - pur nell'ampiezza delle soggettività destinatarie del dovere la cuiomissione è penalmente rilevante, oltre che per la "selezioneoggettiva" delle fattispecie, ricavabile dalla necessità che del reato siabbia notizia in relazione alla funzione o al servizio -autosufficiente inquanto la detta norma punisce proprio la condotta del pubblico ufficiale ilquale omette o ritarda di denunciare all'Autorità giudiziaria o ad altraAutorità un reato di cui ha avuto notizia a causa o nell'esercizio delle suefunzioni. È certo però che la nozione di notizia di reato oggetto dellaprevisione di cui all'art. 331, comma 1, c.p.p. coincide con "il reato dicui" (il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio)"ha avuto notizia nell'esercizio o a causa delle sue funzioni"».

Ne consegue che «la necessaria procedimentalizzazione della notitiacriminis, rilevabile dagli effetti che ad essa conseguono (basti pensare aldovere di iscrizione dal cui esercizio decorrono i termini per il compimentodelle indagini preliminari) impone, dunque, di ravvisare in tale nozione lapresenza di dati univoci (di precisione e di attendibilità), non molto distantidalla nozione di "probabilità", indicata - per l'insorgere del doverepenalmente sanzionato - proprio nel ricorso del Procuratore Generale. Posta tale premessa, occorre, dunque,verificare se al momento della conoscenza del fatto o al momento in cui gliimputati informarono delle irregolarità riscontrate si era in presenza di una notiziadi reato che venne deliberatamente nascosta all'autorità giudiziaria o ad altraautorità che a questa abbia obbligo di riferire».

Sul punto, rileva la Suprema Corte –che “la situazione che sipresentava di fronte agli attuali imputati, non poteva definirsi una vera epropria notitia criminis ma esclusivamente la rappresentazione di un fatto (ledescritte anomalie derivanti dall'uso del computer) che nella sua stessaobiettività era insufficiente a delineare una fattispecie di reato, variegateprofilandosi le ragioni dell'esorbitante entità degli accessi e delle relativeconseguenze patrimoniali. (…) Del resto –aggiunge - la quasi unanime dottrina(in fondo proprio per le ragioni sopra rammentate), pur (ovviamente) nonrichiedendo la certezza in ordine all'esistenza del reato oggetto dellanotizia, presuppone che questo si presenti nelle sue linee essenziali, in basead elementi affidabili; è sufficiente, in altri termini, che il fatto abbia laparvenza della verità; senza per nulla escludere che, soprattutto, nell'area disoggetti estranei a quelli tenuti ad acquisire la notizia di reato, questapossa formarsi progressivamente proprio in forza di più puntualiapprofondimenti che consentano al titolare dell'azione penale di dare inizio alprocedimento attraverso l'iscrizione. Ciò anche considerando che se la denunciaè funzionale all'inizio delle indagini da parte del pubblico ministero(l'effettivo destinatario della notitia) essa deve tendere al buon esito ditali indagini, con la necessità, insita in quella che si è già definita"selezione oggettiva", di colmare quelle lacune che impedisconoqualificare il fatto conosciuto come vera e propria notizia di reato».

Più in particolare e “in termini normativi, la distinzione trasospetto e indizio di reato (il secondo soltanto riconducibile alla nozione dinotizia di reato) emerge con chiarezza dal raffronto tra l'art. 116 e l'art.220 delle norme di attuazione: il primo richiama il "sospetto direato" a proposito dell'accertamento della morte ai fini dell'eventualeautopsia (ma v. anche, quale deroga al principio per cui il mero sospetto nonfa sorgere il dovere di denuncia, l'art. 9, comma 3, del d.P.R. 10 settembre1990, n. 285, anorma del quale "Quando si abbia il sospetto che la morte sia dovuta areato, il medico settore deve sospendere le operazioni e dare immediatacomunicazione all'autorità giudiziaria"); il secondo, impone nell'ipotesiin cui nel corso di attività ispettive e di vigilanza emergano "indizi direato" il dovere di assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro per l'applicazione della legge penale osservando le disposizioni delcodice di rito, dando per presupposta l'esistenza di una notizia di reato. Ilche, del reato appare conforme - considerando che solo l'informazione che sisostanzi in una notizia di reato in grado di essere iscritta nel registro dicui all'art. 335 deve essere trasmessa all'autorità giudiziaria - allagiurisprudenza di questa Corte, costante nel ritenere che la presenza di meri egenerici sospetti non è sufficiente per disporre l'iscrizione nel registrodegli indagati (v., da ultimo, Sez. I, 22 maggio 2013)”.

Alla luce di tutto quanto sin orapremesso, “pare evidente che la verifica circa ilpresupposto del dovere di denuncia richiede - come è stato rilevato in dottrina- l'apprensione di un elemento concreto costituente il momento piùsignificativo di una norma (…) Ed a tale riguardo non può prescindersi dallediverse tipologie di reato e dallo specifico ruolo esponenziale che assumono imomenti di ciascuna fattispecie al fine di determinare il dato significante, ilframmento (…) Non può negarsi, tuttavia, al soggetto destinatario del dovere didenuncia, l'altrettanto significativo dovere di verifica per sondarne la suacapacità penalmente significativa, pure disponendo accertamenti di ordinamentoparticolare destinati ad eliminare ogni sospetto sull'esistenza di un reato, maanche per progredire dalla mera informazione di un fatto non significante aduna verifica che, se positiva, si sostanzierà nell'emergere di una notizia direato la cui mancata denuncia integrerà il delitto di cui all'art. 361 c.p”.

Rimane, tuttavia, il fatto che nel caso di specie, la sentenza impugnatarichiama un "quadro di incertezza e di verosimile dubbio da parte [degliimputati] circa la sussistenza e commissione in concreto del reato e quo, nonpuò dunque che concludersi per il rigetto del ricorso.

Data: 18/03/2014 10:30:00
Autore: Sabrina Caporale