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Direzione e Coordinamento di società (art.2497 c.c.)



Prof. Avv. Carlo Bruno Vanetti

cvanetti@kstudioassociato.it
Avvocato - Professore Associato nell'Università di Pavia
DIREZIONE E COORDINAMENTO DI SOCIETA'
Considerazioni in tema di gestione della società controllata e responsabilita' della capogruppo
Sommario:
1. Caratteri della disciplina italiana sui gruppi

2. Nozione di “direzione e coordinamento”
3. La responsabilita' da scorretto esercizio di direzione e coordinamento
4. I presupposti di fatto della responsabilita': alcuni punti fermi
5. Natura ed effetti dell'azione di responsabilita'
6. Sintesi conclusiva
___________________________________________________________

Premessa: La crescente frequenza di azioni di "responsabilità da direzione e coordinamento" ex art.2497 ss. codice civile, mi induce a ritenere ancora di interesse un mio intervento, inedito, proposto nel 2008 ad un seminario per l?Ordine dei Dottori Commercialisti di Milano.
Come segue
(l'A.)
____________________________________________________________

1. CARATTERI DELLA DISCIPLINA ITALIANA SUI GRUPPI

1.1 Con le disposizioni in tema di direzione e coordinamento, di cui agli articoli da 2497 a 2497-septies del codice civile, il legislatore italiano ha voluto introdurre una disciplina, seppur embrionale, del gruppo di società.
Come è noto, il gruppo costituisce una impresa economicamente unica, ma articolata in più entità giuridicamente distinte, riunite sotto una direzione unitaria.
Tale fenomeno vive costantemente in un'area di conflittualità con le regole dettate per la società singola, e mette in crisi i tradizionali mezzi apprestati dal diritto societario a tutela dei soci di minoranza e dei terzi.

Da ciò, sorge la necessità di specifiche forme di regolamentazione e tutela, cui il legislatore della riforma ha inteso provvedere. La legge numero 366 del 2001, al suo articolo 10, delegava infatti il Governo a dettare una disciplina del gruppo: tale disciplina doveva attribuire rilievo giuridico al suo interesse e contemperarlo con quello delle società controllate e dei suoi soci di minoranza.
La nuova normativa avrebbe dovuto mirare alla maggior efficienza della gestione unitaria del gruppo ed al maggior equilibrio di tutti gli interessi coinvolti, pur senza disconoscere le esigenze gestionali delle controllate .
Veniva individuato come problema centrale il rischio di abusi da parte della società capogruppo, e si ravvisava la opportunità di introdurre, a carico di questa, forme di responsabilità verso i soci minoritari e i creditori della società figlia.
Modello di riferimento era necessariamente il diritto azionario tedesco del 1965, che detta articolate norme al riguardo anche se, al contempo, lascia gravi problemi irrisolti .
1.2 Su questa traccia si poneva il legislatore delegato del 2003 (Decreto Legislativo 17 gennaio 2003,n.6), dettando con gli articoli 2497 e seguenti la normativa intesa a regolamentare l'attività di direzione e coordinamento, ovvero il funzionamento dei gruppi, in aderenza alle indicazioni della Legge Delega.
Il legislatore riteneva, tuttavia, sufficiente una disciplina molto più semplice, rispetto al diritto tedesco, e la condensava così in soli sette articoli (da 2497 a 2497-septies). 
Il gruppo, in sintesi, viene visto come una situazione di fatto, individuata dall'esistenza di una direzione unitaria di più società, la quale genera tuttavia una serie di diritti e doveri di tipo informativo, organizzativo e risarcitorio.

Nel complesso, emerge la tendenza a “legalizzare” il gruppo, cioè farlo evolvere da fenomeno meramente economico a situazione dotata di specifico rilievo giuridico.
Viene al contempo legittimata la compressione della autonomia gestionale delle società controllate e del loro specifico interesse: riduzione che viene tuttavia compensata dal diritto a vantaggi alternativi o a risarcimenti, almeno a lungo termine , per la società come tale, i soci di minoranza ed i suoi creditori, nonché dalla facoltà di recesso, con liquidazione a valori effettivi, da parte dei soci esterni al gruppo.
1.3 Le note che seguono, senza pretesa di esaminare in termini generali le diverse questioni poste dalla nuova disciplina, intendono affrontarne alcuni aspetti, con i quali gli interpreti e gli operatori hanno dovuto confrontarsi sin dalla prima applicazione della normativa: il valore dei termini direzione e coordinamento, la nozione di pregiudizi e di vantaggi compensativi, gli obblighi gestionali degli amministratori in presenza di direzione e coordinamento.

2. NOZIONE DI “DIREZIONE E COORDINAMENTO”

2.1 Il capo IX del titolo V del libro V del codice civile si intitola “Direzione e coordinamento di società”, e negli articoli 2497 ss. si utilizzano le formule “società (…) che esercita l'attività di direzione e coordinamento” e “società soggetta ad attività di direzione e coordinamento”.
Non viene utilizzato il termine “dominio”, né il termine “gruppo”, anche se quest'ultimo è presente nella Legge Delega (art. 2, comma 1, lett. h e art. 10 l.366/2001).
In ogni caso, uniformandosi alla terminologia corrente, la società che esercita direzione e coordinamento può indicarsi come “dominante”, “controllante” o “capogruppo” (e come “dominata”, “controllata” o “affiliata” la società assoggettata ad altrui direzione e coordinamento”): deve tuttavia sottolinearsi che tra i diversi termini, pur potendo essi di norma utilizzarsi in via alternativa, non vi è costante sovrapponibilità.
Deve anche ricordarsi che i termini “direzione e coordinamento” erano già presenti nel D.Lg. 385 del 1° settembre 1993 (TUB), all'art. 61, 4° c., e sono ivi utilizzati per esprimere la tipica attività della “capogruppo” nel condurre il gruppo bancario nel rispetto delle regole di vigilanza , senza peraltro che ne venga dettata una espressa definizione.

2.2 Come per le società bancarie e finanziarie, il legislatore della riforma non fornisce una definizione di “direzione e coordinamento” e si limita a indicare, nell'art. 2497 sexies, delle presunzioni relative (sulla base dell'esistenza del controllo ex art. 2359 cod.civ. o dell'obbligo di redazione del bilancio consolidato) e nell'art.2497 septies la possibilità di appositi contratti o clausole statutarie.
Si pone così, anzitutto, la difficoltà di individuare possibili criteri alternativi (rispetto a quelli presuntivi o basati sul consenso espresso) dai quali desumere la presenza di direzione e coordinamento: al riguardo, va anche chiarito se ed a quali condizioni tale attività possa (come ci pare ammissibile) fare capo contemporaneamente a più soggetti.
In secondo luogo,si pone il problema di determinare quali elementi possano costituire la “prova contraria” di cui all'art. 2497 sexies (Presunzioni).
2.3 In termini generali, può affermarsi che la formula “direzione e coordinamento” equivale a “gestione unitaria” o “direzione unitaria”, intesa come elemento qualificante del gruppo (cui si affianca il “controllo” per i gruppi di subordinazione o “verticali”, realizzandosi, diversamente, un gruppo di coordinamento o paritetico, detto anche “orizzontale”).
Viene anche perlopiù affermato che “direzione e coordinamento”, per essere giuridicamente tali, non basta siano potenziali (ossia che non è sufficiente il mero controllo o la mera presenza del contratto o della clausola di cui all'art. 2497 septies): devono essersi invece concretizzati in una effettiva gestione unitaria del gruppo.
Sulla base di quest'ultima notazione, si può così indicare, in termini generali, che la prova contraria può essere data in ogni ipotesi: sia nei casi di cui all'art. 2497-sexies che in quelli di cui all'art. 2497-septies (quindi in ogni apparente situazione di influenza dominante, presunta per la presenza di controllo potenziale, o consentita per espresso contratto o clausola statutaria) .
2.4 Oltre a ciò, deve affermarsi che la prova contraria può consistere in circostanze che dimostrino:

- che gli elementi da cui la legge deriva la presunzione di controllo (esempio: 51% dei voti nell'assemblea ordinaria) non corrispondono alla effettiva presenza del controllo stesso – ad esempio perché parte dei voti sono sindacati, e nel sindacato di voto vi sono altre maggioranze - ;
- che i contratti o le clausole statutarie non danno in realtà diritto ad esercitare direzione e coordinamento - ad esempio, le scelte più significative sono sottoposte al placet vincolante di soggetti od organismi esterni -;
- che il controllo (ossia l'influenza dominante) potenziale non viene in concreto esercitato e quindi non si materializza in una effettiva gestione unitaria del gruppo (“direzione e coordinamento”).
2.5 Si può, oltre a ciò, tentare di formulare qualche ulteriore considerazione e precisazione sulla tipologia e caratteristiche concrete delle “circostanze”, ossia degli elementi di fatto idonei in concreto a costituire prova contraria alle presunzioni legali (iuris tantum) di direzione e coordinamento. Come segue.
Una prima precisazione, che si muove ancora su un piano sostanzialmente definitorio, è che la individuazione delle circostanze idonee (o meno) ad escludere l'esistenza di direzione e coordinamento, è strettamente collegata alla struttura organizzativa del gruppo e alla coesione minima che il gruppo deve avere, per essere considerato tale.
Il diritto tedesco di origine giurisprudenziale e dottrinale tende a distinguere i gruppi di fatto in gruppi “qualificati” (ovvero strettamente accentrati) e gruppi “non qualificati” (ovvero decentrati).
In merito a questi ultimi (gruppi decentrati, non qualificati), si dibatte poi sulla consistenza minima delle funzioni che devono essere state devolute ad un centro direzionale unitario: consistenza minima al di là della quale il gruppo “sfuma” e “si diluisce” in una mera pluralità di società controllate e “consociate”.

Così, si discute se ed a quali condizioni la gestione unitaria del solo fabbisogno finanziario possa determinare od escludere l'esistenza in concreto di un gruppo, ad esempio in caso di un conglomerato in cui non vi siano altri elementi in comune – né approvvigionamento, né distribuzione, né pianificazioni, né coincidenza di managers -.
In una formulazione sintetica, si può affermare che il controllo per definizione non può dar luogo a direzione e coordinamento quando non risultino di fatto gestite unitariamente almeno alcune funzioni aziendali (ad esempio, la tesoreria, la direzione del personale), che siano idonee ad influenzare le scelte gestionali delle società controllate, in relazione alle attività imprenditoriali nella specie caratterizzanti.
Si può ipotizzare che, in tale prospettiva, la presenza di limitatissime funzioni accentrate, unita ad altri elementi “di contorno” (tra i quali potrebbe immaginarsi la prova che il rendimento delle singole controllate è stato storicamente in linea con la media del settore di riferimento), possa significare la inesistenza in concreto di una direzione e coordinamento (gestione unitaria), malgrado la formale situazione di controllo.
2.6 Si deve, infine, segnalare - come meglio illustreremo - la nostra convinzione che il legislatore assuma come modalità gestionale di riferimento, come frontiera al di là della quale si scade nell'illecito, che la gestione unitaria si eserciti pur sempre nel rispetto dell'interesse sociale delle società controllate, la cui subordinazione all'interesse della capogruppo o di altre società del gruppo dovrebbe essere consentita non sistematicamente, bensì solo occasionalmente, a fronte della evidenziazione dei vantaggi derivanti dalla appartenenza al gruppo o da specifiche misure compensative.
La capogruppo, pur potendo legittimamente, tramite i propri amministratori, sostituirsi di fatto all'organo gestionale della controllata, e pur possedendo – a nostro giudizio - il diritto di trasmettere al medesimo specifiche istruzioni (Weisungsrecht), dovrebbe pur sempre, per mantenersi in un'area di legittimità, effettuare scelte che anche l'amministratore di una società totalmente autonoma avrebbe potuto realizzare .

3. LA RESPONSABILITA' DA SCORRETTO ESERCIZIO DI DIREZIONE E COORDINAMENTO

3.1 L'art. 2497 c.c., che introduce il capo XI del titolo V del libro V del codice civile, su “Direzione e Coordinamento di società”, è rubricato “Responsabilità”, e, nei suoi quattro commi, tratta dell'ipotesi in cui la società dominante violi i “principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale” della società figlia, senza attribuirle, tramite misure specifiche od anche l'insieme della sua gestione, dei vantaggi compensativi, ed arrecando pregiudizio al patrimonio sociale o al valore delle sue azioni o quote.
Alla medesima responsabilità fa riferimento l'art. 2497 quater, 1° c., lett. C, in tema di recesso.

Al contempo, alcune disposizioni in tema di pubblicità e trasparenza della gestione (articoli 2497-bis, 2497-ter) mirano a rendere edotti soci e terzi della situazione economico- patrimoniale della capogruppo e con ciò dei profili di rischio connessi alla sua gestione unitaria del gruppo.
3.2 Deve anche ricordarsi che, in esecuzione della medesima legge delega n. 366/2001, nel disciplinare il reato di “infedeltà patrimoniale” (art. 2634 cod. civ.), il legislatore disponeva che “non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo [realizzato a prezzo di un danno alla società amministrata] se compensato da vantaggi conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall'appartenenza al gruppo”.
Disposizione, questa, in linea con l'articolo 2497, anche se forse ancor più permissiva (non essendo certo che, ai fini civilistici, siano sufficienti i medesimi vantaggi “fondatamente prevedibili” di cui all'art. 2634, per esimere da responsabilità).
3.3 Le disposizioni in tema di responsabilità trovano il proprio antecedente, oltre che nelle norme del diritto societario tedesco (parr.15-22 e 291-338 AktG 1965) e in progetti comunitari sulla regolamentazione dei gruppi, negli articoli 3, ultimo comma, dell'abrogata legge 3 aprile 1979, n. 95 (legge Prodi) e nell'articolo 90 del vigente decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 (c.d. Prodi-bis) –valido pure per la procedura c.d.Marzano, in virtù del rinvio di cui all'art. 8 della legge 18 febbraio 2004, n.39 -.
Quest'ultimo articolo sanziona con la responsabilità personale gli amministratori della capogruppo che abbiano abusato della direzione unitaria, imponendo scelte dannose alla controllata, poi divenuta insolvente: è opinione prevalente che con le persone fisiche risponda anche la società dominante come tale.
Tuttavia, la norma ora citata si muove nella tradizionale logica dell'interesse sociale della controllata, inteso, in stretta aderenza alla nozione di società di cui all'articolo 2247, come “interesse comune dei soci in quanto soci”: il danno, in questa prospettiva, è ravvisabile in ogni iniziativa manifestamente irragionevole se esaminata nell'ottica della società singola.
3.4 L'articolo 2497, invece, vuole chiaramente estendere l'orizzonte su cui misurare il rispetto dell'interesse sociale della società controllata, pur non riuscendo, in positivo, a fornire dei criteri soddisfacenti di valutazione dell'operato degli amministratori (della controllata e della capogruppo).

La nuova normativa, quindi, non consente di definire o delimitare chiaramente l'area di legittimità e illegittimità della gestione della società soggetta ad altrui direzione e coordinamento: e, significativamente, il legislatore della riforma dichiara di affidare alla dottrina e giurisprudenza future la precisazione della portata delle innovazioni introdotte (si veda il par. 13 della Relazione al D.Lgs. 6/2003, ove si afferma che “spetterà a dottrina e giurisprudenza individuare e costituire i principi di corretta gestione imprenditoriale e societaria […]”).

4. I PRESUPPOSTI DI FATTO DELLA RESPONSABILITA'

4.1 La dottrina, investita così del compito di mettere a fuoco il quadro appena abbozzato dal legislatore, ha iniziato una analisi della nuova normativa, ponendone in luce le le molte incoerenze e tentando di individuare almeno alcuni criteri di fondo sulla cui base procedere ad una ricostruzione della disciplina italiana dei gruppi.
Per quanto riguarda, più specificamente,la responsabilità di cui all'art. 2497, pare così emergere almeno su alcuni punti una linea di tendenza.
4.2 Ci sembra che, in particolare, si stia consolidando un certo consenso circa i presupposti di fatto dai quali derivare la responsabilità della holding che esercita direzione e coordinamento.
Anzitutto, viene escluso che la responsabilità della holding possa collegarsi, anche solo in via presuntiva, al semplice esercizio del controllo (il “socio sovrano” di bigiaviana memoria), e ciò pur se tale influenza – venendo esercitata da un'altra società o ente che svolga un'attività economica suscettibile di sinergie con quella della società controllata – si concretizzi nella direzione e coordinamento, ossia gestione unitaria delle diverse entità.
Infatti, la gestione unitaria è una modalità legittima di organizzazione dell'attività di impresa, nella quale è pienamente riconosciuta la possibilità che i processi decisionali vengano elaborati tenendo conto delle indicazioni e valutazioni fornite da altri soggetti, esterni agli organi di governance statutari.
4.3 In secondo luogo, ed a contemperare quanto appena affermato, va comunque rispettata la autonomia imprenditoriale delle diverse società controllate, e con essa deve restare individuabile e deve venire rispettato l'interesse sociale di ciascuna società del gruppo.

In altre parole, la gestione unitaria non può attuarsi con modalità tali da sostituire un complessivo “interesse di gruppo” all'interesse sociale delle singole entità del gruppo: nel senso che, anche se talune funzioni aziendali vengano accentrate presso la holding ovvero presso un unico centro decisionale od operativo, la controllante deve
- sia, in negativo, astenersi dal pregiudicare sistematicamente e direttamente la società controllata (ad esempio, obbligandola a concordare ed effettuare normalmente prestazioni con prezzi lontani da quelli di mercato);
- sia, in positivo, mantenere verificabile la effettiva ripartizione di costi e ricavi tra le varie unità del gruppo, e in generale la correttezza dei criteri di allocazione adottati.
L'interesse sociale della singola società appartenente al gruppo, in sintesi, di norma va rispettato: la qual cosa implica che esso debba sempre essere individuabile.
4.4 In tal senso riteniamo debba intendersi il rispetto dei “principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale”, che secondo il legislatore (art.2427, 1°c., cod.civ.) è il criterio per valutare se l'autonomia imprenditoriale e l'interesse sociale della singola società non vengano lesi.
Ci pare corretto vedere nelle espressioni del legislatore, oltre a ciò, un rinvio a valutazioni di carattere non strettamente giuridico, bensì aziendalistico, di buon governo societario: in particolare all'adozione di modelli organizzativi adeguati al settore di appartenenza e alle dimensioni della singola società, che consentano informate scelte imprenditoriali, tali da utilizzare le opportunità offerte dal gruppo solo nei limiti in cui non pregiudichino la futura possibilità di autodeterminazione e l'interesse dei creditori e dei (potenziali o reali) soci di minoranza.
4.5 Ferma restando l'esigenza di una costante autonoma individuabilità dell'interesse della controllata, si ammette così che i suoi amministratori possano talora consentire una subordinazione di tale interesse a quello della holding o di altra società del gruppo, o in genere di soggetti terzi (ad esempio, adeguarsi all'invito di non effettuare una determinata operazione): tale subordinazione deve tuttavia essere temporanea e, se apparentemente pregiudizievole (in un'ottica “microaziendalistica”), venire affiancata da un idoneo risarcimento.

La subordinazione, ovviamente, dovendo essere temporanea, dovrà essere tale da non determinare un pregiudizio definitivo all'operativtà aziendale, o in genere al rispetto dei principi di corretta gestione (dovrebbe ad esempio essere rifiutato a priori l'invito a privarsi di un dirigente o ad abolire una funzione che ha sempre svolto un ruolo determinante nella concreta operatività della società, così come quello di predisporre un bilancio falso o redatto in base a schemi inusuali e non adeguati alla natura dell'attività sociale).
4.6 La subordinazione dell'interesse sociale, inoltre, come accennato, per poter venire ammessa, oltre ad essere temporanea, dovrà essere affiancata dalla individuazione, o almeno fondata previsione, di vantaggi compensativi del danno causato alla controllata.
I vantaggi possono derivare da specifiche operazioni (ad esempio, una occasionale vendita a prezzo ridotto ad una società sorella, viene compensata da un finanziamento a tasso di favore da parte della capogruppo), od anche da dal risultato complessivo della direzione unitaria (ad esempio, l'incremento del fatturato dovuto all'utilizzo della rete distributiva del gruppo).
Deve escludersi che debba sussistere una esatta determinabilità in termini economici del vantaggio, così come del pregiudizio, e, a maggior ragione, che danno e vantaggio debbano trovar riscontro in contrapposte, ed equivalenti, poste di bilancio.
4.7 Pare comunque necessario che, a fronte di un pregiudizio certo, od anche meramente potenziale, sia riconosciuto un vantaggio fondatamente prevedibile, e in ogni caso tale da essere identificabile e sostanzialmente equivalente al pregiudizio, qualora si procedesse alla valutazione del capitale economico della società (ossia a determinare il valore reale della società stessa).
In sostanza, tra le diverse opinioni espresse, pur non potendo per ora individuarsi una soluzione decisamente prevalente, ci pare corretto indicare come preferibile quella intermedia, che ritiene il vantaggio compensativo di cui all'art. 2497, 1°c., in fine, sostanzialmente coincidente, sotto l'aspetto materiale, con i “vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall'appartenenza al gruppo”, di cui al terzo comma dell'art.2634 cod.civ. (infedeltà patrimoniale) .
La conclusione cui siamo ora pervenuti coincide con quella secondo cui i vantaggi compensativi possono essere già realizzati, e quindi valutati ex post (in sostanza, la controllata era “in debito”o aveva una sorta di impegno od obbligazione naturale, e saldo il suo debito subendo il danno), così come fondatamente prevedibili, ossia valutabili ex ante (cosicché la controllata, dopo l'operazione impostale, risulterà “in credito”, ma sussistono almeno i presupposti per ricevere il ristoro).

4.8 Se, a fronte di un danno causato dalla capogruppo, non sussistono i dovuti vantaggi compensativi (valutati ex post o ex ante), la capogruppo si espone ad una specifica azione di responsabilità, prevista dall'art. 2497 cod.civ. ed estensibile a “chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio” (art.2497, 2° comma, cod.civ.).
In sostanza, una gestione del gruppo improntata ai “principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale” delle società controllate, causa una sospensione della operatività delle normali regole sulla responsabilità degli organi di gestione (artt.2392 ss. e 2476 cod.civ.), rendendo legittimi pregiudizi che sarebbero illeciti nell'ottica della società singola, purchè tali pregiudizi siano temporanei e contestualmente sia dimostrata la allocazione a favore della controllata di vantaggi, almeno fondatamente probabili, sostanzialmente equivalenti ai pregiudizi stessi.
Qualora i pregiudizi siano invece permanenti, o quando, a fronte di pregiudizi temporanei, adeguati vantaggi non sussistano, tornano ad operare le normali regole sulla responsabilità degli organi sociali, oltre a quelle specifiche dettate dagli articoli 2497 e seguenti, nella misura in cui integrino tali regole .

5. NATURA ED EFFETTI DELL'AZIONE DI RESPONSABILITA'

5.1 Se, come abbiamo visto, la individuazione dei presupposti di fatto da cui derivare la responsabilità da direzione e coordinamento, pur non emergendo direttamente dal disposto normativo, può effettuarsi con argomentazioni logico-sistematiche di una certa affidabilità, per quanto riguarda invece le caratteristiche ed i contenuti dell'azione di responsabilità come tale, la normativa spesso presenta aspetti talmente oscuri da rendere estremamente aleatorio qualunque tentativo di individuare una linea interpretativa destinata a prevalere.
In ogni caso, dalla normativa possono desumersi con certezza alcuni dati di tipo procedimentale, sui quali vi sono esplicite scelte del legislatore, che è opportuno richiamare, data la loro portata innovativa o comunque difforme dalle regole tradizionali.
5.2 Anzitutto, l'azione di responsabilità verso la società od ente che esercita direzione e coordinamento può essere proposta dai soci e dai creditori della controllata: si tratta, apparentemente, di una azione non rientrante nelle categorie già note e previste da altre norme del codice civile in tema di responsabilità degli organi di gestione e controllo (azione sociale di responsabilità, azione di responsabilità a iniziativa dei creditori, azione individuale dei soci e dei terzi verso gli organi sociali, responsabilità del socio di srl): ne deriva – come già accennato - che tale azione non si sostituisce ma si aggiunge a quelle tradizionali.

Il comportamento della holding, che pregiudichi l'interesse della controllata, dovrebbe dar luogo anzitutto ad una azione della controllata stessa (il che di fatto potrebbe avvenire dopo la cessazione della relazione di controllo), e semmai dei suoi soci di minoranza e creditori solo in via surrogatoria: all'opposto, la nuova norma neppur menziona la eventualità di un'azione della società controllata, assoggettata a direzione e coordinamento.
Pare comunque implicito che la nuova normativa miri a salvaguardare anche la controllata, e che quindi la medesima possa (ed il suo organo di gestione debba) attivarsi per ottenere il ristoro del pregiudizio non tempestivamente compensato.
5.3 Altro punto su cui la normativa è esplicita, è l'obbligo dei soci e creditori della controllata che si pretendano pregiudicati, di rivolgersi, anzitutto, alla stessa controllata (art.2497, 3°comma, cod.civ. ).
A tale prescrizione, apparentemente incoerente con i presupposti stessi della responsabilità della capogruppo (che implicano il pregiudizio diretto della controllata, e solo indirettamente un danno ai relativi soci e creditori), pare debba riconoscersi una portata meramente operativa: nel senso di lasciare di fatto alla società controllata il tempo di attivarsi con i canali interni al gruppo per ottenere dalla controllante quanto preteso dai soci o creditori, nei limiti in cui la controllante l'abbia danneggiata (e non le abbia riconosciuto vantaggi compensativi), e per procedere ad una sistemazione stragiudiziale delle relative pretese .
E così intesa, tale previsione si conforma a quanto appena affermato circa la legittimazione della controllata ad agire contro la controllante.
5.4 Ove invece le soluzioni restano aperte, è anzitutto in merito alla natura contrattuale od extracontrattuale dell'azione ex art. 2497, 1° comma.
Da un lato, la Relazione al decreto Legislativo n.6/2003 si pronuncia esplicitamente in favore della sua natura extracontrattuale (o aquiliana): soluzione che ricalca quella già prevalentemente seguita dalla dottrina in relazione alla responsabilità della capogruppo prevista dalla normativa in tema di amministrazione straordinaria.

D'altro lato, tenuto anche conto della estensione riconosciuta nel nostro ordinamento alla nozione di responsabilità contrattuale (che viene riferita alla violazione sia di obblighi derivanti da un accordo negoziale, che di specifici doveri derivanti dalla legge), tende in dottrina a prevalere l'idea che si tratti, appunto, di tale tipo di responsabilità.
Soluzione derivata proprio dai caratteri della nuova normativa, che, sempre secondo tale (prevalente) prospettiva -cui ci sentiamo di aderire-, collega al legame di gruppo una serie di obblighi sia informativi che organizzativi e gestionali (pur se resti contestata la possibile attribuzione alla holding di un vero e proprio Weisungsrecht, ossia del diritto di imporre unilateralmente le proprie scelte alla società controllata.
Né manca chi distingue tra la posizione dei soci (cui spetterebbe un'azione di natura contrattuale) e quella dei creditori (la cui posizione sarebbe tutelata solo extracontrattualmente): diverso regime che potrebbe trovare corrispondenza nella formale attribuzione al curatore, in caso di procedura fallimentare , della sola azione spettante ai creditori (art.2427,4°c., cod.civ.) .
5.5 Altro punto in discussione, è la natura surrogatoria o, all'opposto, diretta di tale azione.
La Relazione, oltre (come ricordato) a considerarla extracontrattuale, la qualifica come diretta. Ed in tale senso è la lettera del 1° comma dell'art.2497 (“sono direttamente responsabili”): quasi che il danno subito dai soci di minoranza e dai creditori della controllata potesse non risalire alla violazione dell'interesse sociale della controllata, e addirittura prescindere da una sua lesione (in tale prospettiva diverrebbe voluta la mancata previsione di una responsabilità della controllante verso la controllata).
La natura surrogatoria parrebbe invece più coerente con l'origine di tale responsabilità (la “violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società” assoggettate ad altrui direzione e coordinamento) e, ancora una volta, con la sua natura contrattuale e con la possibilità di una richiesta avanzata dalla controllata come tale.
6. SINTESI CONCLUSIVA

Vogliamo ora riprendere i punti salienti della normativa e delle precedenti considerazioni, pur sempre avvertendo della incertezza, da parte nostra e della dottrina , circa molte delle soluzioni avanzate.
6.1 Così, per quanto riguarda i presupposti della responsabilità per improprio esercizio di direzione e coordinamento, si è concluso che:
• la gestione unitaria ossia la“direzione e coordinamento” tra più società è una modalità legittima di organizzazione dell'attività di impresa; tuttavia
• la autonomia imprenditoriale delle società controllate va rispettata e con essa deve essere individuabile e deve essere rispettato l'interesse sociale di ciascuna società del gruppo;
• la autonomia imprenditoriale e l'interesse sociale sono rispettati se si osservano i “principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale”, i cui contorni devono essere definiti e adeguati dalla interpretazione dottrinaria e giurisprudenziale;
• una temporanea subordinazione della controllata è ammessa; tuttavia, se a livello immediato si causano danni,
• vanno contestualmente previsti o individuati particolari vantaggi compensativi del pregiudizio causato alla controllata;

• i vantaggi possono derivare da specifiche operazioni o dal risultato complessivo della direzione unitaria, e
• possono essere già realizzati e quindi valutati ex post (cosicché la controllata era “in debito”, e salda il suo debito subendo il danno) o fondatamente prevedibili ossia valutabili ex ante (cosicché la controllata, dopo l'operazione impostale, risulterà “in credito”, ma sussistono i presupposti per ottenere il ristoro).
• Se tali vantaggi compensativi (valutati ex post o ex ante) non sussistono, la capogruppo si espone ad una specifica azione di responsabilità.
6.2 Per quanto riguarda poi le caratteristiche, i contenuti, dell'azione di responsabilità:
• l'azione può essere proposta dai soci e dai creditori della controllata;
• si aggiunge alle normali azioni di responsabilità degli organi di gestione e controllo previste da altri articoli del codice o da altre leggi;
• va prima richiesto il risarcimento alla controllata stessa, la quale potrebbe pagare e surrogarsi nel credito dei suoi soci o creditori verso la controllante o comunque far valere un proprio concorrente credito;

• in caso di mancato pagamento da parte della controllata, ne può esser fatta richiesta alla capogruppo, la quale va considerata direttamente responsabile nei confronti di chi agisce in giudizio: quindi, anche se all'origine vi è un danno all'interesse sociale della controllata, l'azione riguarda solo il danno subito di riflesso dal suo socio o creditore;
• la responsabilità dà luogo in linea di principio a un debito della controllante verso gli attori: può essere tuttavia fatta valere anche contro chi abbia partecipato o beneficiato dell'illecito - parrebbe a titolo di concorso nell'illecito altrui o almeno di ingiustificato arricchimento -;
• il debito risarcitorio della capogruppo potenzialmente è pari a tutto il danno ingiusto (pregiudizio causato senza riconoscere vantaggi compensativi) subito dalla controllata;
• in concreto è contenuto in precisi limiti: se agisce un socio, il limite è la diminuzione del valore effettivo della sua partecipazione; se agisce il creditore, il limite è, oltre al valore del suo credito, la lesione subita dal patrimonio (effettivo) della controllata sua debitrice.
6.3 Quanto precede non consente tuttavia, come si è già detto, di individuare con chiarezza le caratteristiche dell'azione di responsabilità di cui al nuovo art. 2497 c.c., né di conseguenza, di determinare e quantificare, nel singolo caso, i concreti rischi e pretese, attività e passività, potenziali o reali.
Tra i molti dubbi, oscurità e incoerenze della recente disciplina, si sono segnalati quelli circa la sua natura contrattuale o (come vorrebbe la Relazione al decreto 6/2003) extracontrattuale, surrogatoria o (di nuovo come vorrebbe la Relazione) diretta.
Gli unici punti fermi che si possono forse enunciare, oltre quanto sinora richiamato, sono alcune conseguenze di ordine generale:

• non è individuabile un astratto “interesse di gruppo”, ma va sempre fatto riferimento ai distinti interessi delle singole società riunite sotto comune direzione e coordinamento;
• il rapporto di gruppo non giustifica il sacrificio dell'interesse di una società a favore della controllante o di una consociata;
• gli amministratori della controllata mantengono sempre la responsabilità della sua gestione; e
• devono valutare criticamente le direttive della capogruppo;
• devono predisporre modelli organizzativi e di controllo interno adeguati a verificare il rispetto di tali principi; e, per tale motivo,
• la nuova normativa tende di fatto a contrastare la realizzazione di gruppi fortemente accentrati.
6.4 Vogliamo poi richiamare, per concludere queste nostre considerazioni, la potenziale portata suppletiva della disciplina in esame rispetto al recente “depotenziamento” degli strumenti tradizionalmente utilizzati da curatori e commissari nell'ambito delle procedure concorsuali .

Infatti , non avendo essi più, praticamente, a disposizione le azioni revocatorie fallimentari, né le azioni di responsabilità basate sulla perdita del capitale sociale (già frequenti, in base al vecchio testo dell'art. 2449 cod.civ.), non può che emergere la tendenza a ricorrere ad altri strumenti atti ad incrementare l'attivo delle procedure.
Tra questi, oltre alla riscoperta della revocatoria ordinaria ed oltre alla normativa penale fallimentare, pare facilmente prevedibile che, in presenza di un gruppo, si ricorra anche all'azione di responsabilità di cui all'articolo 2497, che può indirizzarsi sia contro la holding (finale o intermedia), sia verso le persone fisiche o giuridiche, inclusi soci e amministratori di fatto, che abbiano concorso in qualche misura nel non adottare la dovuta “corretta gestione societaria e imprenditoriale” delle società controllate.
Milano, 4 maggio 2008 - 6 luglio 2014
Prof. Avv. Carlo Bruno VANETTI
Professore Associato nell'Università di Pavia
cvanetti@eco.unipv.it - Studio Associato Kpmg, Milano
Data: 08/07/2014 12:00:00
Autore: Prof. Avv. Carlo Bruno Vanetti